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Il saggio di Zanatta ha il pregio di affrontare in maniera sistemica il fenomeno politico del populismo tornato in auge negli ultimi anni. Lo storico cerca di delineare le caratteristiche che il populismo ha avuto (ed ha tutt'ora secondo l'autore) nelle sue varie fasi storiche. Un testo interessante che però ho personalmente trovato troppo binario e "statico" fino alla ripetitività.
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Secondo Loris Zanatta il populismo − patologia politica che, specie nel Belpaese, sembra non si possa mai debellare del tutto − rappresenta una visione del mondo legata a un’ottica religioso-sacrale, per cui la società è vista come una sorta di organismo.
Visto da questa prospettiva, il populismo rappresenta una vera e propria cosmologia dall'origine antica, la quale però trova la sua espressione ottimale non già all’interno di uno stato teocratico quanto nell’ambito delle moderne democrazie.
Rimanendo pur sempre del parere che ogni singolo populismo è unico e irripetibile, Zanatta sostiene come ovunque e in ogni epoca tale fenomeno faccia riferimento ad un immaginario caratterizzato da un’ideologia niente affatto individualistica, bensì di tipo comunitaristico, in quanto "i valori cui si ispira e su cui si fonda attengono alla sfera sociale e solo ad essa".
Detto altrimenti, il popolo viene qui visto alla stregua d’una comunità organica, alla quale gli individui sono sottomessi.
Siamo dunque lontani anni luce dalla concezione illuminista dello stato che si fonda su − e dipende da − un libero contratto stipulato dai suoi membri.
Ma quale idea di popolo hanno in mente i populisti?
Non certo quella d’una compagine eterogenea, quanto semmai l’insieme coeso della nazione, vista come un armonico blocco territoriale, etnico e culturale.
Insomma un popolo "omogeneo, privo di dissonanze o dissensi".
Va da sé che una tale nozione di collettività e di appartenenza mal sopporti qualsiasi forma di pluralismo o diversità di vedute.
Non a caso i populisti non vedono di buon occhio gli intellettuali o gli avversari politici che mettono in discussione il semplicistico credo dogmatico e le scelte di chi si arroga di esprimere o rappresentare la cosiddetta “volontà popolare”.
Altra caratteristica tipica del populismo è la presenza di una leadership carismatica ma al contempo manichea: incline cioè a vedere la politica alla stregua d’una "lotta tra bene e male, tra amici e nemici, senza alcun compromesso possibile".
Ovvio che questa visuale implichi un autoritarismo piuttosto marcato e poco rispettoso della divisione statale dei poteri, quando non preluda ad esiti francamente dispotici (si consideri ad esempio il populismo dittatoriale di Mussolini ed Hitler).
Anche se a ben considerare, oggi, a differenza di quanto è accaduto nel recente passato, ai politici populisti occidentali manca la "forza" per trasformare la democrazia in regime.
Interessante è anche capire quali siano le circostanze favorevoli alla comparsa di un nuovo populismo. Presupposti che Zanatta riassume in quello che potremmo chiamare il clima più adatto ai rigurgiti populisti, ovvero la percezione di una grave crisi sociale, avvertita come irrisolvibile.
E da tempo, purtroppo, in Italia (ma non solo) le condizioni per l’affermarsi o il riaffermarsi di partiti e movimenti di tal fatta non sembra che manchino, né siano destinate a venir meno nel futuro.
A tale proposito l’autore del saggio non ha dubbi nel bollare come populisti conclamati leader quali Bossi, Berlusconi e Grillo.
Il nostro Paese − a suo avviso, tuttavia − non può aggiudicarsi la palma di "paradiso del populismo", che spetta semmai all’America centro-meridionale, dove esso è oggi "ed è stato per gran parte del Novecento uno dei tratti endemici della vita latinoamericana"; mentre sarebbe il mondo anglosassone l’ambito in cui i populisti farebbero maggior fatica ad imporsi.
Conclusione: il populismo è fenomeno che interessa un po’ tutto il globo e che – prevede pessimisticamente Zanatta – sarà destinato a caratterizzare i prossimi decenni, nonostante egli reputi del tutto illusoria e patetica la pretesa: "di costringere all’omogeneità una realtà in rapida e oramai perpetua trasformazione".
E se fosse proprio il rifiuto di doversi faticosamente misurare ogni giorno con la complessa realtà odierna a favorire il terreno di coltura ideale per la crescita dell’infestante pianta populista?
A cura di Wuz.it
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