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Anno edizione: 2016
Anno edizione: 2017
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Aldo Schiavone è un importante studioso di diritto romano, il che significa che si sa muovere alla perfezione in quel mondo. In questo libro, in un certo senso un divertissement, ha deciso di parlare di un personaggio su cui abbiamo pochissime fonti, eppure è noto a tutti: Ponzio Pilato. Per i curiosi: sì, esiste anche qualche frammento non cristiano che parla di lui, insomma è davvero esistito. Solo che non è che la documentazione sulla Giudea (o sulla Palestina, se preferite) del tempo sia poi così ricca: ai romani più che altro interessava che arrivassero i tributi. Detto questo, Schiavone riesce comunque a imbastire una storia plausibile, partendo dall'assunto che i Vangeli non siano un testo storico come lo pensiamo noi ma che soprattutto Giovanni abbia comunque scritto la verità, anche se non tutta la verità... ma se continuo vi toglierei la sorpresa nel leggere l'ipotesi che lui propone nelle ultime pagine. Devo dire che ho trovato le prime pagine del libro un po' pesanti, ma dal secondo capitolo in poi la prosa è cominciata a scorrere bene. Si può credere o non credere (a Schiavone, cosa pensavate?) ma lo si può comunque leggere.
Recensioni
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(…) Un’indagine dentro la memoria cristiana del cosiddetto processo di Gesù sfocia in un’interpretazione assolutamente non scontata di ciò che avvenne il mattino di un giorno del mese ebraico della pasqua del 30 d.C. o giù di lì e che sarà determinante per quello che ne seguirà fino a oggi. È al procuratore romano di Giudea, Ponzio Pilato, in quei giorni a Gerusalemme per sorvegliare di persona lo svolgersi delle festività ebraiche, che il gruppo dei sommi sacerdoti decide di consegnare Gesù, perché sia messo a morte (…). Schiavone ricorda che, fra i personaggi storici che la tradizione associa al racconto della passione, Pilato è l’unico al quale i Vangeli attribuiscono un dialogo con Gesù; per la parte che ebbe negli eventi che condurranno alla crocifissione è da sempre una figura emblematica e insieme un “enigma” (…).
Il colloquio di Pilato con Gesù non è un processo, semmai un interrogatorio che si solleva a un piano emotivo e intellettuale che non ci saremmo aspettati fra un alto funzionario romano e un ebreo sedizioso. Dobbiamo seguire il testo dell’evangelista Giovanni per questo resoconto, nel quale Gesù interviene due volte: è la particolare forma letteraria di questo vangelo che ha fatto sì che quel dialogo ci fosse consegnato? È la sua forte cristologia che ci mostra un Gesù che in quel frangente parla con la voce del figlio di Dio di “regno” e di “verità”? Pilato deve essere rimasto incerto di fronte alla proclamazione del regno, ma non manca di intervenire sulla verità, scandalosamente testimoniata dal prigioniero che ha di fronte, con una domanda: “Che cosa è la verità?” che è ancora la nostra. Una domanda senza risposta perché Gesù non ribatte o perché Pilato (Giovanni ci dice che, avendola pronunciata, uscì dal pretorio per trattare con il gruppo degli accusatori) non gliene dà il tempo.
Schiavone ha probabilmente ragione a rifiutare l’interpretazione che ne ha dato Nietzsche nell’Anticristo: non c’è “sarcasmo” in lui, egli non vuole sopraffare Gesù, e tuttavia anche Nietzsche ha ragione, giacché quella domanda contiene in sé, se non l’“annullamento”, certo una pesante ipoteca sul messaggio cristiano. È una domanda “greca” e “filosofica”, dettata forse anche dal pragmatismo scettico del funzionario imperiale, ma è là da quando Pilato l’ha proferita. E comunque Pilato vuole salvare Gesù e gli evangelisti lo affermano più volte, ma poi cederà alla piazza, volendo soddisfarla e spinto dal timore. (…) Schiavone risolve in modo straordinario la questione, al prezzo certo di qualche intervento al testo di Giovanni: Pilato ha intuito il disegno di Gesù, lo asseconda (Schiavone parla di “tacito e indicibile patto”) se pur non lo comprende, e consegna il re dei giudei ? e di quell’altro regno che egli non afferra ma di cui avverte la forza misteriosa ? alla morte che suggella la sua missione. Una soluzione all’enigma suggestiva e potente, degno culmine di questo libro.
Recensione di Walter Meliga
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