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Scorrono lunghi mesi d'inverno dove nemmeno il minimo prurito agita le porte del commissariato, silenzi e nevi quasi alte ingombrano le strade come in una lenta antipatica quiete; nessun sussulto, neanche un'eco di lite, una febbre di noia penetra scalza fra le stanze del diritto, mentre nel frattempo l'odore di Dicembre alle porte inizia a esaltare le isterie dei regali che accompagnano l'anno ai bordi del congedo. Così, nelle secche di un male che pare si sia assentato, uno dei poliziotti, un giovane sveglio, di buon intuito e prontezza, va a riaprire il vecchio archivio dei casi irrisolti e ne sceglie uno, studiandoselo piano piano, rigo per rigo. Sarà il suo successo e la sua sorte, la sua bravura e la sua tragedia. Di più non aggiungiamo, bisogna darsi con fiducia al gioco delle indagini, partecipare come interni a quel corpo, a quegli amici e alle loro notti nel gelo, condividendone i pensieri e gli scavi, ogni lastra di lotta. Stupenda la riflessione a metà libro: "Il nocciolo del problema sta nel fatto paradossale che la professione di poliziotto richiederebbe grande intelligenza e qualità psichiche, fisiche e morali eccezionali, ma non ha nulla che riesca ad attirare persone con queste caratteristiche". E questo spiega, dice ancora l'autore "l'odio latente verso la polizia in tutte le classi sociali. Basta un input per scatenarlo. Dipende dal fatto che la polizia è un male necessario". Una griglia di nomi di studiare vita per vita, un rosario di alibi e di intenzioni legate a un grande massacro che avviene su un'autobus. Lentamente, al vaglio di dettagli esilissimi, quasi estenuandosi fino alla rassegnazione. Chi è stato? Quel ragazzo che si è tuffato nel lago dei casi irrisolti lo sa, ha ricostruito tutto, ma non può più parlare. Deve farlo il resto della squadra, e non sarà impresa semplice. Bella vicenda, vecchi scheletri e cocci a graffiare nel confuso armadio del "che fare". Consigliatissimo, come tutti gli altri di questa coppia speciale.
Libro originale per il "non-protagonismo" dei protagonisti. Trama e suspense non a livelli altissimi, ma comunque apprezzabile.
Quarto libro della serie di Martin Beck, ma assieme a “L’uomo al balcone” quello che forse ho preferito (e mi sentirei perciò di consigliare) di più. Rispetto a “Roseanna”, infatti, in cui le indagini sono affidate quasi esclusivamente al duo Beck-Kollberg, e che pecca, in certi momenti, di un ritmo abbastanza lento che potrebbe non soddisfare molti lettori odierni, qui lo sviluppo e i tempi sono impeccabili, l’intreccio avvincente e lo spazio dato a ciascun elemento della squadra quasi equivalente, cosa che permette agli autori di indulgere anche in più di qualche parentesi comica (il duo assolutamente esilarante dei poliziotti pasticcioni Kristiansson-Kvant, per esempio, che tornerà anche in altri libri della serie, e i loro incontri-scontri con l’imponente e irascibile sovrintendente della squadra omicidi, Gunvald Larsson). Ma come per tutti i romanzi di questa serie è soprattutto la procedura investigativa a farla da padrona, con un caso complesso che allarma l’opinione pubblica e scuote anche la stessa Omicidi di Stoccolma, perché c’è stato un massacro su un autobus, e una delle vittime è dei loro: un attentato terroristico, forse, o una messinscena per qualcosa di completamente diverso… Se non avete ancora letto nulla della coppia Sjöwall-Wahlöö “Il poliziotto che ride” è, a mio parere, il loro libro migliore.
Recensioni
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I patiti del genere possono tirare un sospiro di sollievo. Dopo qualche anticipazione ormai lontana nel tempo, da parte dei "Gialli" Garzanti, finalmente una casa editrice di grande prestigio letterario sembra aver preso la drastica decisione di pubblicare l'opera omnia del padre e della madre di un genere che, a partire dagli anni settanta, ha avuto meritato successo: il romanzo poliziesco europeo. Nulla di hardboiled, quindi, bensì più o meno tranquille indagini di poliziotti svedesi, spagnoli, greci, siculi, secondo i dettami dei loro illustri autori, troppo noti per essere elencati. I progenitori, oltre che essere svedesi (forse la difficoltà di trovare traduttori ne ha ritardato la pubblicazione in italiano), hanno la singolare caratteristica di essere comunisti svedesi, perciò inclini a fornire una visione inedita delle crepe nelle pur ragguardevoli conquiste del Welfare socialdemocratico. Il tutto, è questo il merito, senza distogliere l'attenzione dalla narrazione dell'enigma, affrontato con gli occhi di Martin Beck e dei suoi civilissimi colleghi (anche Gunvald Larsson, malgrado sia di destra, vesta alla moda, e perciò stia antipatico a tutti). Peccato che il pur prestigioso editore non consenta al lettore italiano una lettura piana e completa del testo: nella traduzione infatti manca l'intervallo di pagine 257-288 dell'edizione svedese, mentre vengono ripetute quelle dell'intervallo 225-256.
Gian Giacomo Migone
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