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Tutti i formati ed edizioni
Anno edizione: 1984
Anno edizione: 2020
Marina Cvetaeva ha fissato lo sguardo a lungo, tutta la vita, su una divinità terrorizzante: il tempo. E intanto il suo orecchio ascoltava: «Do ascolto a qualcosa che risuona in me in modo costante ma non uniforme, ora dandomi indicazioni, ora dandomi ordini. Quando indica – discuto, quando ingiunge – ubbidisco». Quel «qualcosa che risuona» era la parola della poesia. Il tempo terrorizza perché «corre sempre, corre solo perché corre, corre per correre», ma «non corre in nessun posto», se non nello «squarcio in cui confluisce tutto ciò che scorre». La parola poetica, che si pretende assoluta sin dai grandi romantici, è il paradosso di un imponderabile che permane intatto, preda di noi tutti, che «siamo i lupi dell’impenetrabile bosco dell’Eterno».
Su questa tensione ultima, che vibra un attimo prima di spezzarsi, Marina Cvetaeva ha costruito la sua opera. Il libro che qui si presenta raccoglie alcuni saggi, pubblicati in riviste varie fra il 1926 e il 1933, e mai prima riuniti in volume, che hanno proprio quella tensione come oggetto – e per ciò stesso toccano il segreto della Cvetaeva. Da Novalis a oggi, rare volte l’azzardo della poesia come assoluto ha trovato una formulazione così drastica, così elementare, così soverchiante. La Cvetaeva ascolta le voci, come Giovanna d’Arco, perché opera in lei l’eredità sciamanica della poesia. Ma al tempo stesso acuisce il fanatismo della forma, che è la nostra eredità moderna. In lei, un cuore profondamente arcaico ci trasmette «battiti che danno l’esatta pulsazione del secolo». Le sue parole ci giungono da quella Russia che «non è mai stata sulle carte geografiche della terra», il paese dell’Estremo, quello che incontriamo «all’estremo confine del visibile».
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
In questi scritti, Marina Cvetaeva non dismette il suo essere poetessa. Ogni frase ha un ampio respiro, ha una musicalità intrinseca, propria dei versi. Nel primo saggio, la sua penna è affilatissima contro certa critica letteraria che viviseziona le poesie, senza avere uno sguardo che va oltre la forma, per andare dritto al cuore dei versi: "Perché venirmi a raccontare che cosa volevo fare in un certo poema? – vieni meglio a mostrarmi che cosa hai saputo prendere – tu – dal mio poema. Nella favola il popolo ha interpretato un sogno dell’elemento naturale, il poeta nel poema ha interpretato il sogno del popolo, il critico (nel nuovo poema!) ha interpretato il sogno del poeta. Il critico: l’ultima istanza nell’interpretazione dei sogni. La penultima."
Opera fantastica che permette di capire a 360° la vera essenza di Marina Cvetaeva, scorrevole, intrigante, scava a fondo nelle moderne idee cvetaeviane, consigliatissimo!
Questo libro è di una bellezza assoluta. 4 scritti divisi in più parti e tutti che parlano della poesia come tempo. Marina Cvetaeva è riuscita ad entrare nei meandri del verso, a scompigliare le pagine; si parla di Puskin, di Rilke e soprattutto di Pasternak. Ci insegna che possiamo diventare critici di noi stessi e che la poesia è poesia solo quando restiamo soli con noi stessi e tante altre cose ancora. Lo consiglio agli appassionati di poesia, ai giovani e debuttanti poeti e soprattutto a tutti.
Recensioni
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