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Da alcuni mesi a questa parte sono ormai convinto che i poeti dell'est, soprattutto quelli emersi dal fondale della storia, siano dotati di una voce più genuina, più fresca, più chiara: sulle loro parole non grava un senso di plumbeo appesantimento, come accade ai versi di molti poeti occidentali; le loro parole sciamano ancora come piume, e il messaggio che trasportano ci coglie di sorpresa, perché credevamo di aver dimenticato il sapore di una lingua tanto virginea. Benissimo dunque: che il poeta contemporaneo vada ad affondare le sue radici nelle fibre robuste di queste voci: il suo canto spumeggerà più forte. Onore a Lalic, a questa nobile casa editrice e a Roberto Mussapi.
Questa antologia, che contiene una selezione di poesie su suggerimento dallo stesso autore, ripercorre le tappe del percorso poetico di uno dei massimi esponenti della poesia serbo croata negli anni 50 del novecento. Ho trovato le poesie qui contenute semplicemente meravigliose, caratterizzate da “un lirismo epico potente e corale”, come lo ha definito Roberto Mussapi. Ne consiglio la lettura a tutti gli appassionati di poesia.
Unico volume antologico proposto al pubblico italiano nell'ormai lontano 1991, questa raccolta di versi del poeta serbo Ivan Lalic (1931-1996) mantiene intatto il suo fascino discreto ed elegante di comprensione intelligente e sensibile del reale, di attento recupero della memoria collettiva, di resa poetica raffinata e senza sbavature. Una poesia che si nutre dell'osservazione meditativa di ciò che vive intorno (quindi il paesaggio, con le sue acque, gli animali e la vegetazione), e di cui il poeta ha il dovere morale di farsi interprete presso chi non sa o non può vedere:"Dì qualche cosa, esprimi/ Questo momento: la rosa già mette le foglie,/ L'aria infittisce dove verrà il fiore,/ La lingua sanguina alla parola spina", rassicurando chi legge sulla propria onestà di saggio veggente, e di privilegiato testimone:"fedeltà/ All'immagine appena promessa, fedeltà alla parola/ Non pronunciata nella breve memoria". Il poeta impara dalla propria emotività ad amare il mondo semplicemente osservandolo, quasi constatandone con meraviglia la consolante bellezza: e sa di dover rendere agli altri, gratuitamente, nei versi, ciò di cui si è arricchito:"Ancora non so chi io aiuti così/ A raccogliere i frantumi del mondo - / Piuma di gabbiano, piuma di angelo, questa parola...";"Sono esperto di spazi di speranza, / Di spazi di pietà moderata". E non c'è nessuno iato tra natura e storia, passato e presente, privato e pubblico. Con la stessa dedizione Lalic descrive città europee (Venezia, Aquileia, Cambridge...) e campagne, affetti personali (la splendida commemorazione sulla tomba della madre) ed eventi bellici, echi biblici o classici e cronache giornalistiche:"essere/ Fedele al visibile: ecco il compito vero"; consapevole della sua responsabilità di scrittore:"Chi ha lottato con l'angelo, ha compiuto/ La storia in una notte:// a noi è prescritto/ Di ricordare, di infliggere colpi;/ Al pesco è prescritto di fiorire".
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