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Autore tra i più eclettici del nostro Cinquecento, Pietro Aretino coltivò, tra i vari, anche il “genere” cavalleresco. Per ben vent’anni infatti, tra il 1527 e il 1547, egli accarezzò il sogno di scrivere un grande poema che ne eternasse la fama e portasse al contempo denaro fresco nelle sue sempre esauste casse. In realtà, se furono addirittura quattro i poemi iniziati, nessuno venne poi condotto a termine: la Marfisa, scritta inizialmente per celebrare le glorie di casa Gonzaga, giunse a contare tre canti (i primi due pubblicati nel 1532 e il terzo nel ’35), l’Angelica (1536) due, l’Orlandino (fra il 1536 e il ’47) due, l’Astolfeida (dopo il 1547), infine, ancora tre: complessivamente, poco meno di 700 ottave. Benché solo abbozzate, pure queste “prove” cavalleresche non risultano affatto prive di fascino o di interesse. Si fa ammirare innanzitutto la “meravigliosa” facilità con cui si snodano le stanze e si susseguono gli episodi; come è da ammirare lo stile, che riesce sempre ad adeguarsi perfettamente alla materia cantata: più lievi e raffinate le ottave che narrano i pii e lacrimevoli casi di Marfisa e di Angelica, gentili eroine vittime della malvagità umana, più “spesse” e spigolose quelle dedicate ai rudi costumi e alle comiche smargiassate di Orlandino, di Astolfo e dei loro degni compari, risibili paladini di Francia codardi e fanfaroni, pronti a misurarsi solo con enormi capponi farciti. Provvisori e incompleti, questi poemi – per la prima volta leggibili nella loro veste autentica, criticamene accertata – seducono il lettore moderno anche in quanto opere “non finite”, da cui il desiderio di proseguire la lettura e il rammarico di non poter sapere “come va a finire”: il che suona convalida della maestria e delle virtù letterarie del loro discusso autore.
L’edizione è completata da un’ampia Introduzione storico-critica, da un’articolata Nota ai testi, da un Glossario e un Indice dei nomi ragionato.
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