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Quel che per diciotto secoli era stato giustificato mediante le sacre scritture cominciò a essere ribaltato sulla base della medesima fonte. Protagonista di tale rovesciamento esegetico fu, negli Stati Uniti, Sarah M. Grimké, assieme alla sorella Angelina. Nate da una ricca famiglia di proprietari di schiavi, entrambe manifestarono precocemente il loro anticonformismo e la loro voglia di emancipazione, per il genere a cui appartenevano e per gli afroamericani. Abbandonata la chiesa episcopale, Sarah diventò quacchera, dopodiché, a metà anni trenta, aderì alla Female Anti-Slavery Society di Philadelphia. Contribuì al nascente movimento femminista americano, sorto dal settarismo radicale contro il clero congregazionalista conservatore. Emerse così tutto il potenziale di sovversione inerente la fede cristiana. Sarah contro-argomentava: è Dio stesso ad aver creato uomo e donna a propria immagine, come insegna il libro della Genesi. Una creazione di esseri morali e responsabili, investiti direttamente dal creatore di “sacri e inalienabili diritti”. Affermare l’inferiorità della donna e stabilirne una condizione di discriminazione e subordinazione al maschio significava pertanto offendere in primo luogo “la saggezza e la misericordia di Dio”. La Bibbia è riletta come la grande carta dei diritti umani, fonte indiscutibile che legittima la parificazione tra uomini, donne e schiavi nel nome dell’eguaglianza universale. Con la sorella, nel 1837 Sarah affrontò ventitré settimane di viaggi e incontri in cui parlò in settantasette tra città e villaggi a più di quarantamila persone, uomini e donne. Le lettere qui presentate, pubblicate l’anno dopo, rivendicano l’emancipazione femminile e l’abolizione della schiavitù tramite la lotta per il suffragio universale.
Recensione di Danilo Breschi
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