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scheda di Mulazzani, M., L'Indice 1993, n.10
È assai poco comune trovare sulla cartamoneta di un paese l'effigie di un architetto contemporaneo; tale raro riconoscimento, toccato ad esempio al finlandese Alvar Aalto, è stato recentemente tributato anche a Joze Plecnik, il cui severo volto si staglia sulla banconota da 500 tolarji della nuova repubblica slovena. È di lunga data, comunque, la consapevolezza, nel milieu intellettuale sloveno, del ruolo assolto da Plecnik nella costruzione della moderna identità culturale della nazione, tutt'altro che riconducibile a folclorismi.
Solo alla fine degli anni sessanta, tuttavia, la conoscenza della sua opera ha travalicato i confini del paese e, dopo un altro lungo decennio, si è imposta finalmente all'attenzione internazionale, esponendosi talora a letture approssimative e pretestuose. La vicenda inquieta, erratica e intransigente di Plecnik si è intrecciata con i destini di una cultura che gli eventi storici ultimi hanno reso nazione indipendente, dipanandosi dagli anni viennesi, prima nella scuola e nell'atelier di Otto Wagner, poi come architetto in proprio, teso oltre l'esperienza della Sezession al viaggio in Italia, fondamentale per la "scoperta" dell'architettura classica. Dall'esilio durante la Grande Guerra a Praga, dove insegna, ma anche realizza il grandioso intervento nel castello, ritornerà alla natia Lubiana, per fondare la sua scuola di architettura e tentare di dare alla città il volto di capitale degli sloveni. Gli anni tragici del secondo conflitto mondiale e il clima rivoluzionario postbellico segnano la sua progressiva emarginazione. Nell'ormai ricco novero di titoli su Plecnik - ove pur sempre manca una monografica "Opera completa" - il dettagliato e ampio studio di Krecic (adattamento dell'editio major slovena, Joze Plecnik, Ljubljana 1992, pp. 479, 415 ill., con bibliografia) costituisce un ulteriore, importante contributo alla conoscenza delle complesse vicende umane e artistiche di questo pio contestatore del mainstream architettonico moderno in nome di un'ironica e programmaticamente barbara classicità, fin troppo facile da fraintendere, e affabulatore di architectural tales riservate a chi sappia intendere l'etica della tradizione.
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