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Si conoscono da un bel po’, quasi vent’anni. E non sarà forse un caso che siano accomunati dalla condivisione di nome-cognome. Si conoscono insinuandosi l’uno nella musica dell’altro, senza interferenze ma con quell’amalgama che si può creare solo quando si fa musica e non ginnastica musicale. Qui gli esasperati virtuosismi tecnici sono banditi e si pensa soltanto a creare bellezza artistica. Nove brani, che appartengono alla migliore e non abusata tradizione del jazz, in cui si declinano anni di militanza comune e di poetica condivisa. Là dove le melodie disegnate, arpeggiate e ricamate da Yonathan Avishai raggiungono quelle luminose della tromba di Avishai Cohen. Fin da The Opening si capisce che l’attenzione alla melodia stia a cuore a entrambi; note staccate, tessiture armoniose che fanno parte anche della dizione di Two Lines, con un basso continuo claudicante, dagli intervalli rotondi e arguti cesellato da Yonathan, mentre la tromba di Cohen ci piroetta sopra. Tromba che salta dai registri più gravi a quelli più acuti prima di aprire la narrazione di Crescent, caratterizzata dai rapidi cambi di dinamica e dal gioco di chiaroscuri del pianoforte. Azalea è una ballad ellingtoniana ancien régime, con la tromba sordinata di Cohen a dare gustose pennellate di swing mentre Yonathan ricama accordi allargati. Old style è anche Kofifi Blue di Abdullah Ibrahim cui fa da contrappeso la dinoccolata Dee Dee, con l’ostinato di pianoforte a sottolineare la scoppiettante tromba di Cohen. C’è spazio anche per il blues del Modern Jazz Quartet con Ralph’s New Blues, prima di accendere i riflettori su Sir Duke di Stevie Wonder con il raddoppio di note e le micro-variazioni di Yonathan e gli impercettibili interventi flautati di Cohen. Il prezioso lavoro dei due musicisti si chiude con il soave traditional Shir Eres Lullaby, giusto per ricordare a tutti le loro radici e dichiarare, ancora una volta, che la bella musica appartiene a un solo contenitore.
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