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Un diario, e non un romanzo, questo libro sofferto di Eugenio Corti, pubblicato per la prima volta nel 1947 e in seguito riproposto in diverse e numerose edizioni italiane e straniere. Al pari di altri famosissimi diari che hanno testimoniato le vicende infernali che hanno travolto civili e militari nella seconda guerra mondiale, questa narrazione scandisce senza nessuna indulgenza ad artifici letterari il destino individuale e collettivo delle vittime di quel tragico conflitto. Eugenio Corti, sottotenente pattugliere del reggimento fanteria Pasubio durante la ritirata di Russia, racconta in queste pagine, con assoluta e lucida puntigliosità, tutti gli avvenimenti che scandirono le ventotto giornate, tra il dicembre 1942 e il gennaio 1943, in cui la sua divisione subì l'offensiva russa e fu costretta a ripiegare dal Don a Starobelsk. "In questo diario si riflette la fine del Trentacinquesimo corpo d'armata, uno dei tre corpi dell'armata italiana in Russia": con queste scarne parole ha inizio il resoconto della strage che, dei 30.000 uomini accerchiati nella sacca sul fronte, ne risparmiò solo 4.000. Corti, allora ventunenne, una volta scampato a quella carneficina, scrisse le sue memorie in pochi mesi, mentre era ricoverato in un ospedale militare a Merano nel 1943: con l'intenzione di offrire una testimonianza, imparziale e fedele, di tutto ciò che aveva vissuto. Atti di eroismo e di disperazione, crudeltà e vigliaccherie, insubordinazioni e incapacità organizzative, sentimenti riprovevoli e generosità solidali: tutto ciò, insomma, che caratterizza l'agire umano nei momenti più terribili e pericolosi dell'esistenza. "La mia maggior preoccupazione fu di rispettare in tutto la verità: al punto di poter giurare sul contenuto non soltanto dell'insieme, ma di ogni singola frase". Nessuna retorica patriottica, quindi, e nessuna autoindulgenza, ma uno sguardo severo e pietoso sulla Storia che travolge e corrompe storie e destini personali, distruggendo anime e corpi.
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