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Se "Heroin" dei Velvet Underground non fosse stata "solo" la più struggente dichiarazione d'amore mai musicata sull'eroina, se "Requiem per un sogno" non fosse stato il canto del cigno narrativo della New York del CBGB's ebbene Rick Moody non avrebbe dovuto inghirlandare la sua più lucente corona d'angeli in cielo. E' New York (meglio il Village) quale Sodoma sul ciglio dell'incipiente ordalia la protagonista di questa lunga, intensa novella; New York che come una sfera di specchi attraverso suoni disarticolati e sordidi club frange e rifrange fantasmatiche marginalità preda del flagello bisillabo che, quale marchio di Caino, lucidava le coscienze dei benpensanti di metà anni '80 e si appuntava a sigillo mortale sulla fronte di quelli angeli caduti nel nome di una estrema escatologia personale. Una novella tripartita in cui l'asciutezza del narratore non cela ma celebra l'identità dei timori e dei tremori che ha accompagnato in una permanente trasgressione i volti di una generazione svuotata del proprio futuro nella pienezza eccessiva di un presente che quanto più è stato folgorante tanto più è destinato ad essere l'ombra di se stesso. Di sicuro interesse è la postfazione di Tommaso Pincio tutt'altro che decorativa addolarata, sinceramente partecipe di quell'orgoglio luciferino che ha pervaso nella sua accecante caduta tutta l'ultima generazione di angeli ribelli al cielo del sogno americano.
straziante, gelido, bellissimo, perfetto. la più grande ballata di disagio metropolitano mai scritta.
Ho letto il libro sull'onda delle vostre recensioni positive.. ma non mi è piaciuto. A me non ha dato alcuna emozione, non mi ha "preso" per niente.
Recensioni
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A leggere Moody (nato a New York nel 1961) viene un po' da pensare ai drammi shakespeariani, geniali intrecci di commedia e tragedia, abitati da personaggi talmente ben delineati da sembrare veri. Delle sue opere sono state edite in Italia da Bompiani Tempesta di ghiaccio (2003), Rosso americano (2001) e Racconti di demonologia (2003). La più lucente corona d'angeli in cielo è un racconto in tre tempi sugli anni dell'eroina nell'East Village di New York, ma anche "sulla gente dell'East Village e sulle coincidenze che ti capitano in un posto come l'East Village". Una storia di coincidenze, dunque, in cui i protagonisti - Jorge, Toni, Randy e Yvonne - entrano in scena con una tempistica perfetta, intrecciando la propria alle altrui vite senza necessariamente accorgersene. È il narratore, infatti, a tenere le fila di tutto, dando al lettore una visione d'insieme di un microcosmo fatto di coincidenze che non coincidono e di possibilità non poi così illimitate. Un microcosmo in cui a fare da regina è l'eroina. È lei che regola ogni cosa, pienamente in grado di sostituirsi a tutto e di avere sempre l'ultima parola. L'eroina e tutto quello che si porta dietro (prostituzione, criminalità o morte che sia) diventano così perfetta esasperata metafora della vita. Parafrasando Moody: il brivido dell'eroina esisteva da molto prima dell'eroina stessa. Ovvero: eroina come metafora del bisogno di dipendenza dell'uomo. E non una dipendenza qualunque, ma una dipendenza talmente unica e insostituibile da annientare il resto, e al tempo stesso una dipendenza a cui arrivi per caso. Poi però del caso che ti ci ha portato fai presto a scordartene. Scrive Tommaso Pincio nella bella postfazione al libro: "Il passato, i problemi, le infanzie difficili, i quadri psicologici tormentati, la noia e finanche il semplice gusto di provare sono cazzate. (...) la verità è che ti ritrovi agganciato perché a un certo punto quella ti si è parata davanti come fosse la quintessenza della normalità delle cose". Ed è esattamente questo che descrive Moody: la quintessenza della normalità delle cose.
Tiziana Lo Porto
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