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recensione di Bacci, M., L'Indice 1995, n. 4
La collana "La pittura in Italia" dell'editore Electa si conclude col suo primo volume dedicato, sotto il nome generico di "altomedioevo", all'arco di tempo compreso tra il secondo quarto del VI secolo e gli inizi del XIII (l'utile cronologia alle pp. 499-515 prende come punto di partenza al 529, anno in cui si pone la fondazione di Montecassino, e si interrompe col 1204, data della conquista latina di Costantinopoli). Di fronte agli altri volumi della serie, compreso il primo dato alle stampe ("Il Duecento e il Trecento", a cura di Enrico Castelnuovo, 1985), a cui per certi versi si riallaccia (si veda ad esempio come alcuni aspetti metodologici qui sviluppati fossero già in nuce nel saggio di Carlo Bertelli, "Dietro la pittura italiana. Bisanzio"), questo è, come appare a colpo d'occhio, senz'altro il più singolare, non foss'altro perché è costruito da un unico tomo e manca di quell'apparato fondamentale che era nelle altre opere il catalogo degli artisti (qui reso superfluo dal numero assai esiguo di dati che possediamo intorno alla personalità artistica degli autori delle opere a noi note, che nel migliore dei casi, sempre più unico che raro, è ristretto al solo nome).
Tuttavia, le cause dell'"anomalia" di questo testo sono facilmente individualizzi in due fattori in contrasto tra loro che rendono strutturalmente ardua un'operazione di tal genere: da un lato l'estrema dilatazione cronologica, che obbliga gli autori dei singoli saggi a incasellare in poche pagine le vicende di ben sette secoli: dall'altro la constatazione della gran scarsità delle opere conservate, che viceversa costringe spesso gli autori a giganteschi voli pindarici per dare una continuità narrativa all'illustrazione delle singole opere e del rari monumenti conservati.
A tutto questo va aggiunta l'oggettiva difficoltà di raccogliere materiale bibliografico a tutt'oggi sporadico e di non sempre agevole reperimento. Inoltre, come se non bastasse, grava su quest'opera lo spettro pesante di quei "preconcetti" che hanno avuto a lungo via facile nella letteratura storico-artistica italiana e che spesso hanno portato a bollare la produzione pittorica precedente il 1204 (se non addirittura quella antecedente agli anni intorno al 1285, epoca della supposta attività del giovane Giotto ad Assisi) come (per usare le parole del Bertelli nel saggio introduttivo) "continuità immiserita della tradizione antica e sforzo di conservazione", al contrario, nei diversi saggi si riconosce facilmente come si ponga particolare attenzione all'individuazione dei momenti di cambiamento e trasformazione, di costruzione di un nuovo "stile" (come quello italo-greco settentrionale di cui si delinea la fisionomia in relazione a Castelseprio e a un perduto ciclo ravennate), senza mancare tuttavia di storicizzare ogni volta questo concetto anelando in cerca dei molteplici motivi (ora politici, ora religiosi, ora propagandistici, ecc.) che stimolavano le innovazioni e delle reazioni del pubblico contemporaneo.
La rottura col passato e la volontà di proporre una ventata di aria fresca in questo settore del dibattito critico è dichiarata come fatto generazionale nell'introduzione: la scelta di autori che in gran parte hanno meno di quarant'anni e tra i quali troviamo anche alcuni stranieri (A. Cutler, W Tronzo, E.J. Grube, Xavier Barrali i Altet) denuncia l'intento di proporre una lettura dell'arte altomedievale priva di giudizi e pregiudizi e non contaminata da impostazioni nazionalistiche, che assume come numi tutelari Pietro Toesca e Ranuccio Bianchi Bandinelli. La struttura del volume, benché sia priva di suddivisioni interne, si fonda su due gruppi distinti di saggi: il primo di questi è costituito da una serie d'interventi che illustrano nel dettaglio il materiale in nostro possesso nelle diverse aree geografiche (per pura comodità si fa riferimento, come negli altri volumi, alle suddivisioni amministrative attuali, ma non viene mai meno l'attenzione per le situazioni di "frontiera" e per i meccanismi di scambio culturale fra zone anche molto distanti). Grazie anche al poderoso corredo fotografico (704 illustrazioni, per la maggior parte a colori) il lettore ha la possibilità di esaminare da vicino e confrontare un repertorio ricco e aggiornato di opere spesso poco note, tra le quali un buon numero di monumenti venuti alla luce o resi leggibili dai restauri solo in tempi più o meno recenti, accanto ad altri rimasti a lungo inspiegabilmente inediti: ricordiamo, tra i tanti, oltre i celebri affreschi di Castelseprio (scoperti nel 1944), quelli trovati ultimamente nella torre del monastero di Santa Maria di Torba (Varese), il ciclo del refettorio di Nonantola (recuperato nell'83), la decorazione murale dell'abbazia dei Santi Rufino e Vitale ad Amandola (Ascoli Piceno), il "Salvatore" del Duomo di Narni (scoperto nel 1953), il grande ciclo veterotestamentario di Anglona presso Tursi; in Basilicata (qui retrodatato da V. Pace rispetto alla sua precedente attribuzione al XIII secolo nel volume il "Duecento e il Trecento") e, ancora, le scene evangeliche emerse durante un restauro nel San Pietro di Galtellì (Nuoro).
Il secondo gruppo di saggi è dedicato all'esame di alcuni problemi critici: dopo un'introduzione storica di P Delogu, A. Cutler affronta la 'vexata quaestio' della "maniera greca" in Italia, proponendo un'innovativa interpretazione storico-culturale, mentre Pina Belli D'Elia si sofferma su certi aspetti della storta del culto delle icone, constatando l'oggettiva non coincidenza tra "storta dell'arte" e "storia delle immagini", ancora, l'analisi della storia della ricezione e diffusione dei modelli pittorici romani monumentali costituisce il fulcro del saggio di W. Tronzo. Seguono alcuni interventi dedicati alla specificità e alle vicende particolari di determinati "generi" pittorici, tra i quali gli Exultet, la pittura rupestre e il mosaico parietale e pavimentale: per quanto riguarda invece la miniatura, l'attenzione è rivolta a due importanti centri di produzione, le abbazie di Bobbio e Montecassino, delle quali viene offerta (da S. Lomartire e G. Orofino) una rzcostruzione cronologica, sulla base dei manoscritti conservati e delle fonti scritte, dell'attività artistica. Infine occorre menzionare il saggio monografico che E. J. Grube dedica a quel monumento fondamentale dell'arte islamica medievale (di cui mancava, sin dai tempi del Monneret de Villard, uno studio particolareggiato) che è il soffitto dipinto della Cappella Palatina di Palermo.
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