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Il termine "etnomatematica" fu coniato nei primi anni ottanta dal matematico brasiliano Ubiratan d'Ambrosio. Negli ultimi trenta anni l'etnomatematica si è sviluppata come disciplina accademica indirizzata allo studio delle pratiche matematiche di gruppi socioculturali identificabili, laddove essi sono sì comunità etnicamente intese o società di piccola scala, ma anche gruppi interni alle società avanzate, come collettività locali, strati sociali, comunità religiose, categorie professionali. L'etnomatematica si propone di identificare, tracciare e analizzare i processi di generazione, trasmissione, istituzionalizzazione del pensiero matematico in sistemi culturali diversi. Si colloca così fra l'antropologia culturale e la matematica "accademica", che prescinde invece dalla contestualizzazione culturale e storica, secondo quattro filoni di ricerca principali: storia della matematica, analisi della matematica delle culture tradizionali, analisi della matematica dei gruppi sociali, didattica della matematica.
L'autore, Paulus Gerdes, un matematico del Mozambico, ha studiato per oltre un ventennio le culture non occidentali, in particolare le società subsahariane. L'attenzione di Gerdes si è focalizzata sul pensiero geometrico, espressione massima della logica greca che di sé ha improntato il pensiero matematico occidentale. Di questo pensiero indaga le tracce scoprendone il "risveglio" nelle società primitive. Il che non vuol dire che quelle culture abbiano seguito lo stesso percorso di astrazione delle società occidentali, ma che attraverso le esigenze del quotidiano sono giunte in maniera originale alle stesse forme e alle medesime relazioni, con ciò aprendo un varco alle possibili dinamiche interculturali e di fatto alla matematica "accademica". Perché questo è l'assunto caratteristico della metodologia di ricerca gerdesiana: gli oggetti della geometria e le loro relazioni non sono scoperti come matematica in senso platonico, ma si originano dall'attività quotidiana di progettazione e produzione di strumenti per il vivere, e quindi solo lo studio dei mezzi di produzione, dei materiali e dei prodotti potrà far emergere il pensiero geometrico che nascondono.
Nell'ambito della ricerca di Gerdes, Pitagora africano si colloca in posizione particolare: da una parte, infatti, dichiara prioritariamente le proprie finalità pedagogico-didattiche, dall'altra, si propone come dissertazione monotematica, ponendo sin dal titolo il teorema di Pitagora come argomento unico. Come cornice della ricerca, nel I e nell'VIII e ultimo capitolo, l'autore giunge a dimostrare in maniera originale il teorema di Pitagora e il teorema di Pappo, partendo dalla "soluzione bidimensionale del problema dell'ornamento delle superfici" e dalle tecniche di copertura decorativa delle pareti dei templi degli egizi: questi capitoli sembrano voler adombrare l'ipotesi che Pitagora abbia scoperto il proprio teorema proprio durante il suo ventennale soggiorno in Egitto. Dal II al VII capitolo si vanno ad analizzare le società subsahariane. Si passa così Dalle legature intrecciate (Mozambico meridionale) al teorema di Pitagora, a La simmetria quadrupla di Pitagora, analizzata su artefatti provenienti da diversi stati africani, fino agli affascinanti, dispersi disegni sulla sabbia degli Tchokwe, in Angola.
Un capitolo a sé, il IV, merita l'arte decorativa dei Bakuba, applicata alla metallurgia e alla tessitura; invece il modello decorativo dello "scudo di tartaruga", "stella", "formiche", "nuvole", che si incontra in pettini e cesti, ampiamente diffuso in tutta l'Africa, viene sviluppato nel V capitolo, in quelle che mi sono parse le dimostrazioni più eleganti del libro. Il capitolo VI, Schemi di intreccio di stuoie per il teorema di Pitagora e per i Quadrati Magici, merita una citazione particolare, perché l'autore, attraverso i modelli artigianali dei disegni degli Tchokwe e una nuova dimostrazione del teorema di Pitagora, ci conduce in modo stimolante ai Quadrati Latini, ai Quadrati Magici e all'aritmetica modulare.
Gerdes, sia chiaro, non intende certo dimostrare che le popolazioni subsahariane scoprirono il teorema di Pitagora e la relativa dimostrazione, ma vuole suscitare i nostri interrogativi riguardo ai processi mentali che condussero gli artigiani africani a elaborare modelli pitagorici. Ma, soprattutto, desidera aprire ai docenti strade didattiche nuove e di maggior successo. Se Elisha S. Loomis, nel suo The Pythagorean Proposition, dà 370 dimostrazioni diverse del teorema, Gerdes ci invita esplicitamente a creare cammini alternativi per introdurre il teorema di Pitagora in aula, aprendoci con i suoi esempi a un'infinità di dimostrazioni. Afferma infatti nella prefazione a questo libro: "I paesi africani affrontano livelli relativamente bassi di impiego della matematica. Una delle ragioni risiede nel fatto che molti alunni 'sentono' la matematica, per esempio proprio il teorema di Pitagora, come qualcosa di strano, che viene da fuori". Queste parole non possono non farci ricordare che Emma Castelnuovo, autrice di Matematica nella realtà (1976), che, con la scoperta del Meccano, preludeva all'introduzione dei nuovi programmi di geometria intuitiva nella scuola media, in tempi recenti ha affermato: "Un insegnamento della matematica così aiuta i nostri nuovi allievi, quelli che vengono da paesi lontani: aiuta questi allievi di altre lingue a imparare l'italiano" (Lectio Magistralis, 15 marzo 2007). Ida Alessandroni
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