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Dettagli

1996
1 gennaio 1997
380 p., ill.
9788843557783

Voce della critica


recensione di Parlato, E., L'Indice 1997, n. 2

Chiusi i battenti della mostra dedicata a Pisanello, nelle due versioni, parigina e veronese, spenti i riflettori sulla civiltà figurativa lombardo-veneta di primo Quattrocento, rimangono sul campo i ponderosi cataloghi e i libri che sono venuti alla luce a costellare l'evento espositivo.
Quasi un reprint è "Il Gotico Internazionale" di Sergio Bettini.Il testo, che solo ora è diventato un vero e proprio libro grazie alle cure del prefatore Elia Bordignon Favero, fu stampato, più di venti anni fa, come dispensa al corso di storia dell'arte medievale tenuto dall'autore nel 1973-74 all'università di Padova.Il tempo trascorso, le origini "modeste" e, se vogliamo, di occasione potrebbero far sorgere più di un interrogativo sull'opportunità di una simile operazione editoriale.Al di là degli aggiornamenti bibliografici, inevitabili con il passare degli anni (e che forse sarebbe opportuno integrare all'edizione attuale), le pagine del volume conservano una strutturata solidità.Trasmettono l'immagine dello studioso non conformista, pronto ad allontanarsi dalla strada maestra per seguire sentieri me-
no battuti: da qui l'affinità con lo Schlosser della "höfische Kunst", da qui la disposizione a esplorare eccentrici peripli d'arte che passano da Damasco, Cordova e Bisanzio.Non conformista anche nell'interrogarsi e mettere in discussione l'assunto centrale dell'"Arte di corte" dello Schlosser: l'esistenza di un'arte scaligera, di una vera e propria scuola veronese.
Con logica serrata Bettini osserva che non vi è coincidenza cronologica tra i fatti artistici e l'apogeo della signoria dei Della Scala (usciti di scena nel 1387); inoltre nei primi decenni del Quattrocento né la pittura di Pisanello, né quella di Stefano di Giovanni (erroneamente battezzato "da Zevio") fanno capo a una base linguistica che possa, a rigore, definirsi veronese. Affermazione che ha resistito alla verifica del tempo e che viene oggi confermata e ampliata nel catalogo pisanelliano.
Eccoci dunque alla mostra e ai cataloghi redatti per l'occasione, due volumi complementari, ma ispirati a una diversa filosofia: da una parte il catalogo "ufficiale" che rende conto di quanto effettivamente è stato esposto, dall'altra un testo - "I luoghi del Gotico Internazionale nel Veneto" - che scandaglia il territorio offrendo un panorama ricco, variegato e che riserva ancora delle sorprese per nuove scoperte e attribuzioni.Le oltre 150 schede parlano di complessi monumentali assai noti e studiati, quali sono, ad esempio, la Basilica Marciana o il Palazzo Ducale a Venezia, ma soprattutto di opere meno conosciute - è il caso della statua marmorea di "San Michele Arcangelo" di Cervarese (Padova), opera firmata e datata (1425) dallo scultore austriaco Aegidius Gutenstein - o addirittura inedite, quale è un'altra scultura in terracotta dipinta, la "Madonna con il Bambino" di Pozzonovo (Padova), attribuita da Giuliana Ericani al fiorentino Nanni di Bartolo.
Si ritorna così al filo conduttore del "Gotico Internazionale" di Bettini, alla ricerca di un'identità figurativa della fine del medioevo in terra veneta. In un denso saggio introduttivo ai "Luoghi del Gotico Internazionale", Enrico Castelnuovo ridisegna tale percorso.Non solo apre verso il nord, alla corte vescovile di Trento, al ciclo dei mesi del Castello del Buonconsiglio o alla corte tirolese insediata a Merano, presenze boeme e oltramontane che non furono affatto marginali, basta guardare al ductus distorcente, al turgore espressivo del pittore veneziano Michele Giambono per rendersene conto.Ma soprattutto sottolinea quella cesura, a cavallo fra Tre e Quattrocento, segnata dall'apogeo e dalla subitanea crisi della signoria viscontea. Assistiamo così a un travaso di menti e di mani che dalla corte pavese, dal cantiere del Duomo di Milano migrano verso le rive della laguna.Nel primo decennio del Quattrocento si stabilisce a Venezia un sofisticato lombardo, Michelino da Besozzo; a Palazzo Ducale, nella Sala del Maggior Consiglio Gentile da Fabriano fissa in immagini (perdute) la gloriosa storia della Repubblica, e Pisanello (è molto probabile), attraverso il tirocinio con il più anziano maestro, giunge al termine degli anni di apprendistato. Così Venezia, nell'arco di pochissimi anni, da retrovia bizantineggiante, diventa il luogo dove viene messo a punto un nuovo linguaggio che trae linfa da esperienze che è difficile ancorare in maniera esclusiva a una città o a una scuola locale, ma rimandano semmai - scrive Castelnuovo - "alla costellazione delle corti".
Questo è il punto di partenza per avvicinarsi a Pisanello, attivo interprete della cultura cortese, medievale nella tradizione, ma tassello fondante per la nascita della civiltà rinascimentale italiana, come ha ben visto Michael Baxandall.Una prospettiva che può essere considerata se non il filo conduttore almeno il punto di partenza nella lettura del catalogo propriamente pisanelliano, nel quale stile, disegno e tecnica pittorica possono forse costituire il filo d'Arianna per orientarsi tra i diciannove saggi (e le schede) che corredano il volume.
Chiunque abbia avuto modo di visitare la mostra veronese o, semplicemente, occasione di sfogliare le prime schede del catalogo avrà notato che la personalità artistica di Stefano di Giovanni viene drasticamente ridimensionata.Si è già detto che l'appellativo "da Zevio" - a suggerirne l'origine autoctona - si fonda più sull'amor di patria che su dati oggettivi.Venticinque anni fa si è scoperto che Stefano non era affatto veronese, ma figlio del pittore francese Jean d'Arbois, prima al servizio dei duchi di Borgogna, poi dei Visconti: padre e figlio sono quindi membri a pieno titolo di quell'apolide costellazione delle corti.Inoltre Stefano è documentato e opera a Verona in un'epoca posteriore alle prime prove pisanelliane, capovolgendo così quel rapporto maestro-allievo a lungo dato per scontato.Tutto ciò è discusso e sviluppato con acume ed equilibrio nel saggio e nelle articolate schede redatte da Esther Moench. Sorprende quindi che nel momento di "etichettare" la scheda si propenda a nomi e soluzioni che non sembrano conseguenti con quanto si legge nel testo.Il fatto che Stefano di Giovanni non sia il maestro di Pisanello non ne giustifica la "damnatio memoriae". Così attribuire a "Michelino da Besozzo (?)" la "Madonna del Roseto" o a "Pisanello (?)" la "Madonna" di Palazzo Venezia non trova riscontro né nel dato stilistico (come risultava dal raffronto delle opere in mostra), né in quello storico-filologico.
Imaginifico e talvolta pindarico nella lettura del San Giorgio e la principessa - il celeberrimo affresco di Sant'Anastasia - Dominique Cordellier offre numerosi spunti che sembrano convergere, anche nella disposizione dei prezzi in mostra, al rapporto tra grafica e opera pittorica pisanelliana, tematica più consona agli interessi dello studioso, conservatore presso il Gabinetto dei disegni del Louvre. I numerosi fogli connessi all'affresco veronese diventano indizi per una sofisticata opera di detection che dalle arti figurative ci trasporta in contesti molto diversi, che sembrano evocare "L'Autunno del Medioevo" di Huizinga.
L'esercizio del disegno, la sua versione monumentale, tràdita dalle grandi sinopie mantovane è altresì elemento fondante nell'analisi della tecnica del Pisanello frescante e del pittore murale esplorata nel saggio di Maria Elisa Avagnina.I dipinti murali pisanelliani, con parti a buon fresco, ma caratterizzati dall'insistito ricorso a tecniche miste che impongono la "presenza", più che la rappresentazione, di una realtà "bella", di quello straordinario repertorio di arte suntuaria, circonfuso nella materica preziosità di oro e lapislazzuli esaltata dallo studiatissimo disegno.Integrazione delle tecniche e delle arti, così evidente nel monumento Brenzoni a San Fermo, dove le sculture del fiorentino Nanni diBartolo (già aiuto di Donatello), gli angeli cerofori di un anonimo collaboratore, forse lombardo, si integrano in simbiotica unione con le pitture pisanelliane. Tecnica e rapporto con la materia che si configurano anche come problema di stile, che trova il proprio incunabolo, a tale approccio multimaterico della pittura murale, nella "Maestà" di Simone del 1315.

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