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Il saggio è scritto in modo splendido e l'autore ha la capacità di mettere in evidenza i collegamenti e i concetti chiave con opportune ripetizioni e perifrasi, rara soprattutto in testi come questi, che rischiano di perdersi in discorsi eccessivamente complessi o in troppi riferimenti ai testi. Informazioni complete, limpido nel ripercorrere l'evoluzione del pensiero di Pirandello, fondamentale per comprendere la sua produzione teatrale.
Recensioni
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recensione di Bassnett, S., L'Indice 1994, n. 2
(recensione pubblicata per l'edizione del 1992)
Con questo libro Claudio Vicentini apre un nuovo capitalo nella storta sia della teatrologia italiana che degli studi pirandelliani. Scritto in uno stile leggibile e accessibile quasi quanto un romanzo, il libro segue la carriera teatrale di Pirandello sempre nel contesto della scena italiana ed europea dell'epoca, collegando le opere letterarie con quelle drammatiche, i saggi teorici con la pratica in una struttura che contesta la cronologia lineare di studi più tradizionali.
Vicentini insiste sul disagio pirandelliano, quel senso di disagio che avvertiamo in ogni lettura e che alcuni critici biografici hanno tentato di sminuire. Rimane però il fatto che nel caso di Luigi Pirandello abbiamo uno scrittore che pur parlando dell'inadeguatezza dell'arte drammatica era affascinato dal teatro e non appena avesse l'opportunità vestiva i panni del regista, tentando di realizzare il sogno sia estetico sia politico di un teatro d'arte del tutto italiano, quel sogno che poi fallì man mano che l'ombra del totalitarismo si stendeva attraverso l'Europa negli anni inquieti dopo il 1928.
Bellissima la conclusione che dipinge un quadro di Pirandello negli ultimi anni della sua vita chiuso in uno spazio psicologico tra "l'incubo dell'indifferenza ostile della platea dei contadini siciliani e l'angoscia dell'avanzata incontenibile del cinema sonoro", cercando di capire quale sarebbe stato il futuro dell'arte teatrale e ormai rassegnato al concetto della fragilità del teatro, alla sua precarietà, alla mancanza di continuità in un mondo dove le circostanze storiche cambiavano da un momento all'altro.
L'episodio dell'indifferenza dei contadini siciliani assume un'importanza fondamentale per capire i cambiamenti stilistici e teorici di Pirandello dopo il fallimento del Teatro d'arte. Secondo la testimonianza di Rina Franchetti, che lavorava nella compagnia di Pirandello nel dicembre del 1927, durante una faticosa tourn‚e per la Sicilia, gli attori si erano recati al paese di Canicattì con l'intenzione di rappresentare "Sei personaggi in cerca d'autore". I contadini erano stati costretti dai padroni ad assistere allo spettacolo, ma la mancanza di comprensione da parte degli spettatori durante lo spettacolo creò un senso di disagio talmente forte da sembrare quasi una minaccia. In quel momento crollava il sogno dell'universalità del teatro, dell'efficacia del teatro nei confronti del popolo. Da questa singolare esperienza dice Vicentini, Pirandello ha iniziato l'elaborazione dell'opera che molti considerano il suo capolavoro, "I giganti della montagna".
Il collegamento del racconto della disastrosa rappresentazione a Canicattì con la stesura dell'ultima opera pirandelliana ci fornisce un esempio tipico della metodologia di questo libro. Parte dallo specifico - da uno spettacolo, da un saggio, da un episodio particolare - e poi ne spiega il significato nella storia della carriera teatrale di Pirandello. Così il primo capitolo, "Cronache della confusione teatrale", esamina le contraddizioni tra le idee espresse nel saggio "Illustratori, attori e traduttori" sull'impossibilità del teatro come arte, e ciò che avveniva nel teatro europeo fuori d'Italia. È probabile che Pirandello nel 1908 ignorasse perfino l'esistenza di Stanislavskij, Craig, Mejerchol' de Strindberg, ci suggerisce Vicentini, perché la sua esperienza diretta delle scene era stata limitata al disperato invio dei propri testi ai capocomici di passaggio.
È interessante e utile studiare uno dei grandi uomini di teatro italiani, in questo modo che decostruisce l'idea di un percorso omogeneo svolto da Pirandello per entrare nel teatro. Vicentini ci ricorda sempre le contraddizioni, le ambiguità di quel percorso, e tramite la storia del disagio di Pirandello scrittore, teorico e regista arriviamo a capire di più la lotta da lui svolta per tutta la vita, una lotta tra l'idealismo e il compromesso, sia artistico che politico che personale.
Vicentini definisce "Sei personaggi in cerca d'autore" come il testo teatrale del disagio stesso di Pirandello, il suo rifiuto del teatro; poi, in un capitolo di grande originalità, spiega le varie fasi della riscrittura della commedia, man mano che veniva rappresentata da registi come Pitoeff a Parigi. Con quest'opera vediamo come il disagio di Pirandello si trasferiva dal testo alla scena, dalla teoria alla rappresentazione, dalla bidimensionalità della pagina alla tridimensionalità del palcoscenico.
Il Pirandello di Vicentini è un grande artista, certo, ma è soprattutto un essere umano pieno di complessi, disposto allo stesso momento a imparare cose nuove come un giovane e a resistere alle costrizioni del mondo come un vecchio tiranno. Leggendo questo studio affascinante, ci troviamo di fronte a uno scrittore conosciutissimo che pure rimane sconosciuto. Puntando sul disagio, in contrasto a quegli studi che insistono sulla coerenza tragica della visione pirandelliana, Vicentini riesce non soltanto a spiegare il rapporto contraddittorio di Pirandello con il teatro italiano, ma spiega anche il rapporto del teatro pirandelliano con il teatro in Europa tra le due guerre. Il libro di Vicentini ci offre quindi uno sguardo nuovo, provocatorio e importante sulla carriera del grande Pirandello.
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