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Anno edizione: 2006
Anno edizione: 1995
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
un romanzo che amo molto che regalo solo alle persone per me speciali. storia cruda e struggente
Testo intenso, lo spaccato di un'epoca visto con gli occhi di bambini, ai quali è negato l'affetto e la chiarezza ... triste e dolcissimo!
uno spaccato di un'epoca, reso ancora più reale dall'uso sapiente della lingua italiana e dalle espressioni dialettali pure o tradotte in italiano. veramente bello.
Recensioni
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scheda di Lanfranco, C., L'Indice 1995, n.11
recensione pubblicata per l'edizione del 1995
È lo sguardo affilato dell'infanzia, di una bambina delle scuole elementari, quello che si posa sul mondo nell'ultimo lavoro della Gianini Belotti. Romanzo dalla non dissimulata aspirazione documentaristica, "Pimpì oselì" propone la storia di una famiglia nell'Italia fascista degli anni trenta, divisa tra la periferia romana e una frazione delle valli bergamasche, tra gli affetti e il lavoro. Una madre maestra, dura e rancorosa e tuttavia indiscutibile "anello forte" delle dinamiche familiari, costretta a lasciare la capitale per insegnare a bambini di montagna. Un padre dimesso, dolce e disoccupato, che resta a Roma. E due bambini, che seguono la mamma nei suoi spostamenti obbligati (la legislazione fascista prevede che una maestra possa insegnare unicamente nella provincia dove si è diplomata), sempre fuori posto, mal visti e mal compresi, dai ragazzi romani compagni delle vacanze come dai bambini delle valli del nord. Tanti bambini, nelle pagine della Belotti: bambini violenti, costretti a dure discipline di scuola e all'irreggimentazione fascista da maestri maneschi e distanti, bambini mal lavati e male ascoltati. Soprattutto bambini poveri, falcidiati dalle malattie, storpiati da tare ereditarie, piccoli zoppi, epilettici, tubercolotici, ritardati. La corporalità attraversa costantemente le pagine di "Pimpì oselì", la pregnanza del dato biologico si rivela attraverso la malattia che aggredisce e devasta i corpi, i geloni dell'inverno, le morti precoci dei piccoli figli dei montanari poveri, ma anche attraverso una sessualità vitalissima, fatta delle prime carezze scambiate da Cecilia con i compagni, delle voci sussurrate a mezza bocca, della curiosità verso le anatomie degli animali domestici, che sfugge alle maglie di una religiosità bigotta e oppressiva. Le pagine della Belotti seguono attente il percorso che dall'obbligo alla mortificazione del corpo femminile - le bambine stiano al proprio posto, tengano gli occhi bassi e la bocca chiusa, sarà unicamente colpa loro se si cacceranno nei guai torbidi del sesso - porta direttamente all'imposizione dei ruoli e delle gerarchie all'interno della famiglia.
Ma proprio su questo tema "Pimpì oselì" presenta uno scarto significativo. Nella famiglia di Cecilia, nella quale peraltro tutti gli stereotipi educativi dell'epoca vengono fedelmente perseguiti; i ruoli sono di fatto rovesciati, con la madre che lavora lontano da casa e si assume la responsabilità economica della famiglia. L'anormalità della situazione, vista con sospetto da parenti, compaesani e ispettori scolastici, viene pagata ad altissimo prezzo: incapace di ridisegnare la propria fisionomia in relazione ai reali rapporti che la attraversano, la famiglia di Cecilia legge se stessa come un esperimento fallimentare, e soprattutto la madre, che accusa il marito di farsi mantenere, vive con rabbia e difficoltà questo suo ruolo "maschile" e la necessità di lavorare per tutti e quattro. Il detonatore di questa crisi è evidentemente il contrasto fra l'iconografia proposta dalla retorica ufficiale - donne a casa, uomini che lavorano e comandano - e la realtà, e il libro della Belotti scava ammirevolmente tra le aporie delle dinamiche familiari e restituisce intatto il senso di disagio e di sofferta anormalità vissuto da Cecilia e dai suoi cari. E il lettore accosta senza difficoltà questa sensazione all'altra, che permea l'intero libro, di irregolarità diffusa, che si fa visibile nei corpi di adulti e bambini: in questo senso, "Pimpì oselì" è un'autentica galleria di casi disperati, di bambini con sei dita per piede, microcefali, epilettici, di adulti alcolizzati o suicidi. L'Italia fascista, stracciona e piena di prosopopea, è incapace di custodire la propria infanzia, e di ben altre incapacità si rivelerà responsabile. Il libro si chiude significativamente sul discorso di Mussolini del 10 giugno 1940, la cui enfasi, amplificata dagli altoparlanti, si rovescia su bambini e maestre riuniti nel cortile della scuola per la consegna delle pagelle, sul paese dei poveri, degli storti e di una ragazzina che guarda.
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