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La quarta di copertina ci dice che Nino Smacchia è nato ad Acqualagna, in provincia di Pesaro e Urbino, nel 1948; che si è diplomato perito chimico all'ITIS di Urbino e si è poi trasferito a Milano dove si è laureato in Scienze Biologiche e ha quindi percorso la sua carriera di tecnico e ricercatore di laboratorio. Figlio di contadini mezzadri, i primi vent'anni della sua vita li ha passati in campagna. Il libro autobiografico che ha ora pubblicato ci parla proprio di questi due decenni. L'indicazione «romanzo» non deve ingannarci. L'interesse maggiore sta nella verità e nella esattezza con cui descrive la vita contadina delle campagne di Urbania in relazione proprio alle problematiche dell'Italia degli anni Cinquanta e Sessanta. La materia del libro è l'attenta e puntuale descrizione dei fondi, dei lavori che si succedono nelle stagioni dell'anno, dei problemi economici, della delineazione dei caratteri dei protagonisti. Insomma, è l'intero mondo contadino vissuto che si anima nel racconto. Dignità, libertà, passione, amore per il proprio lavoro: ecco i cardini della rivalutazione odierna di quella mentalità contadina che resisteva contro la nuova mentalità attratta dal lavoro in fabbrica o in ufficio e dalla vita più comoda delle città. Il nuovo stile di vita, esemplificato nella progressiva conquista del frigorifero, della lavatrice, del televisore, dell'automobile, comportava aspetti negativi che il vecchio contadino (il padre del narratore) non poteva accettare, come, ad esempio, il venir meno dell'unità delle famiglie e l'attenuarsi dei valori morali e religiosi e di solidarietà fra i vicini. La scrittura di Nino Smacchia è semplice, essenziale, gradevole. I suoi pregi migliori sono la correttezza e la precisione, funzionali al carattere del racconto autobiografico aderente alla realtà e alla concretezza delle cose. Libro, dunque, di narrativa e di colore locale, ma che può essere letto con utilità e piacere da tutti, purché si ami leggere di cose vere.
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