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Piero della Francesca è unanimemente ritenuto, da cent'anni a questa parte, il pittore più importante dell'intero Quattrocento italiano. La portata del suo influsso sugli artisti coevi fu enorme, anche se talora viene condotta a un'estensione difficile da dominare, che ricorda l'iperbole manzoniana "dalle Alpi alle piramidi".
La spina dorsale di questo catalogo è costituita da saggi dei due curatori, che illustrano in chiave monografica e diacronica l'attività e l'impatto di Piero nelle "corti italiane" frequentate dal pittore (Perugia, Rimini, Ferrara, Roma; ad Emanuela Daffra spettano le pagine su Urbino). Non mancano tuttavia la formazione fiorentina e le poco note tappe loretane e anconetane; inoltre, la mostra aretina consentiva, con scelta encomiabile, la visita ai capolavori del pittore conservati in città e nel territorio (Sansepolcro, Monterchi).
Chiarezza espositiva e piacevolezza di penna connotano gli scritti dei curatori, anche se Paolucci si limita a riepilogare le più canoniche letture stilistiche sul pittore, con tono un po' slegato dalla concretezza richiesta da un catalogo, mentre Bertelli meglio stringe il filo dei riferimenti e, quando possibile, apre il discorso a un bel respiro europeo con richiami a Konrad Witz, Rogier Van der Weyden, Jean Fouquet.
Nell'assetto di queste godibili ricognizioni risiede il punto debole del volume: l'indagine stilistica non riesce a individuare un tema unificante nel rapporto fra Piero e l'ambiente della "corte", di cui manca ogni argomentazione. L'analisi procede attraverso alcuni consueti loci deputati. Dell'assenza di una linea di regia netta e dagli obiettivi ben delineati soffre soprattutto il settore delle schede, circa novanta, per venticinque estensori, d'impianto per lo più compilatorio; fra le eccezioni si conta sempre Bertelli, anche sulla Madonna col Bambino prima opera di Piero e novità della mostra.
Le opere schedate dovrebbero chiarire ora le premesse, ora il contesto, ora e soprattutto l'influsso del pittore. Parecchi rivoli assai eterogenei non confluiscono però in quel maestoso corso d'acqua che è la personalità di Piero della Francesca: anzi questa risulta annacquata nel suo quid, poiché in un ristretto giro di foto e senza un aderente commento deve sostenere il richiamo a Giovanni di Francesco, a Girolamo di Giovanni da Camerino, ad Antoniazzo Romano, a Giovanni Bellini, a un reliquiario aretino del 1498. Come coefficiente disgregativo agisce la scissione dei testi delle schede dalle relative immagini, disposte a piena pagina in una cerimoniosa parata; discutibili sono anche certe scelte grafiche nei saggi, per cui il tondo berlinese di Domenico Veneziano ottiene un diametro di pochi centimetri.
La variegata costellazione di saggi "sussidiari" comprende, fra l'altro, un limpido contributo sull'evoluzione delle conoscenze matematico-scientifiche dell'artista (James Banker), una singolare indagine su Piero e il primo cielo stellato (Vladimiro Valerio), il documento Filmare Piero della Francesca (Anna Zanoli).
Gabriele Donati
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