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Nell'opera di Demandt torna a nuova vita il genere della "storia universale", praticato già da Diodoro Siculo e caduto in disuso, dopo i fasti settecenteschi, sotto la spinta della specializzazione disciplinare. Sgombrato il campo dalla pretesa di riunire in una sintesi complessiva cronologie talvolta discrepanti e dati statistici discutibili, quella di Demandt è dichiaratamente una "storia del mondo, così come si presenta oggi a un uomo dell'Europa occidentale"; dopo aver passato in rassegna i popoli antichi sotto il profilo geopolitico, sociopolitico e culturale, ma soprattutto nell'ottica dei loro avvicendamenti, intrecci ed eredità, il libro svela la prospettiva che ne costituisce il nerbo nella parte più specificatamente moderna e contemporanea: un cosmopolitismo di matrice kantiana che, rivolto all'epoca attuale, determina la sensibilità dell'autore per la storia come una dinamica complessiva di unificazioni e fratture tra culture, politiche globali, sistemi economici in espansione. È in fondo il problema della cooperazione tra i popoli, o della prevaricazione, che sembra portare in luce questo libro, unendo la drammaticità presente da Tucidide a Darwin, senza timore di mostrare il biasimo per un processo di civilizzazione e per una politica di esportazione unilaterale della democrazia che lasciano spazio ai fondamentalismi. E se espressioni come "parte negativa" di un secolo o "conseguenze negative" dell'economia possono apparire improprie per uno storico, l'incursione di carattere astrofisico sul destino della Terra che chiude l'opera (non priva di un certa sensibilità ecologica) ricorda che in fondo non siamo che pascaliani puntini nell'universo, molto lontani, in ogni caso, dal possesso della verità.
Marco Platania
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