Lo studente di pittura Giovanni Carnovali, il Piccio, aveva undici anni quando il suo professore Giuseppe Diotti, all’Accademia Carrara di Bergamo, gli diede da copiare un’antica incisione riproducente un brano della celebre processione cesarea di Andrea Mantegna oggi a Hampton Court. La rassegna qui documentata, prevalentemente grafica, parte proprio da questa primizia scolastica, prima di saggiare le disinvolte evoluzioni di lapis prodotte negli anni della maturità e oltre. Registrazioni, sempre, di un occhio in bilico tra realtà e mito, di uno stile polarizzato tra obiettività e retaggio della Maniera cinquecentesca. Insieme alla parabola stilistica, viene saggiata la gamma delle modalità esecutive e degli sbocchi fruitivi. Trovano quindi accostamento documenti dal vero (persone, vedute, paesaggi), esemplari di «storia» realmente preparatori di pitture, oppure derivazioni più o meno variate dai suoi «capodopera» installati in chiese o in saloni della buona società lombarda. Per l’ambito condizionato dalla deliberata volontà di esibizione virtuosa (sia nella creazione di getto sia nella conduzione meditata) ricorrono carte entrate originariamente in album o montate sotto vetro. La reputazione del pittore linguisticamente più avanzato del medio Ottocento italiano fa tuttora i conti con tante stucchevoli imitazioni di suoi emuli. La mostra e il catalogo vogliono contribuire alla discriminazione delle mani, con una sezione specificamente concepita, ricorrente a disegni e piccoli oli dovuti alla cerchia. Espediente che, nel contempo, vale a illuminare il contesto. Intorno all’antologia grafica del Piccio, fanno infine da corollario undici suoi capolavori su tela, riuniti allo scopo di collegare a ogni passaggio tecnico del processo figurativo i peculiari valori di forma e contenuto. Ancora, per cogliere intero, nell’immediato, il significato della straordinaria poetica.
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