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Jankelovitch,filosofo e musicista francese,figlio di ebrei russi immigrati, professore alla Sorbona e intellettuale impegnato sia nella Resistenza durante la guerra, sia nelle lotte del 68, scrisse alcuni vibranti testi sullo sterminio nazista, che furono raccolti nel 1971 in un volume,abbastanza provocatoriamente intitolato:"Perdonare?", e ripubblicati dalla Giuntina, con traduzione di Daniel Vogelmann. Perdonare,quindi?Dimenticare,soprassedere,amnistiare "questo mistero della malvagità gratuita che è stato l'olocausto? La risposta appassionata e sofferta di Jankelevitch é "NO!". Un no quasi urlato, meditato con lucidità ma anche e soprattutto viscerale,polemico,feroce. Che si ribella con determinazione ad ogni caritatevole appello all'oblio:"Il nostro risentimento,la nostra incapacità di liquidare il passato...non si chiama rancore, ma orrore"; "Fare dei paralumi con la pelle dei deportati..Bisogna essere un vampiro metafisico per avere un'idea del genere:che dunque non ci si meravigli se un crimine insondabile provoca una meditazione inesauribile." E questa meditazione sfocia in una difesa ad oltranza,infiammata,del popolo ebreo:"Gli ebrei sono soli, disperatamente soli,nella loro fortezza assediata","Perché gli ebrei hanno sempre torto: torto di vivere,torto di morire". E in una condanna senza appello del popolo tedesco:"Non perdonare loro, perché sanno quello che fanno","Dal macchinista dei convogli fino al miserabile burocrate che teneva la lista delle vittime, ci sono ben pochi innocenti fra questi milioni di tedeschi muti e complici","Ci sarà rimproverato di paragonare questi malfattori a dei cani? Lo ammettiamo: il paragone è ingiurioso per i cani", "La buona coscienza dei tedeschi di oggi ha qualcosa di stupefacente:i tedeschi sono un popolo impentito". La proposta del filosofo è quindi conseguente: boicottare Germania e Austria, non andare più in questi civilissimi e ricchissimi paesi senza memoria. "Il perdono! Ma ci hanno mai chiesto perdono?"
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