Non bisogna credere troppo a chi dichiara di non "sapere" la musica pur amandola e frequentandola assiduamente; spesso questi così detti dilettanti ne "sanno" molto di più di tanti musicisti cui sfugge il senso di quello che fanno. Un'eloquente conferma si trova in questo libro di Lionello Sozzi, l'illustre letterato e francesista per il quale la musica è il sottofondo sonoro della vita stessa, il filo costante che ha attraversato tutte le sue stagioni di studio e lavoro, dalla Puglia nativa, alla Normale di Pisa, alle Università di Torino e Parigi. Il titolo Perché amo la musica potrebbe anche essere inteso come una domanda, e la risposta sarebbe subito chiara: Sozzi ama la musica perché questa gli dice, gli parla, lo aiuta a risolvere l'equazione del suo temperamento: il contrasto, o l'avvicendarsi, di ragione e passione, di "dominio mentale e tensione affettiva", di "realtà e chimera", o in termini storici, di classica severità e "cedimenti" romantici: giacché la sua base illuministica è spesso "sconvolta" (è un termine che ritorna spesso) da irruzioni di bruciante romanticismo. È affascinante seguire Sozzi nel suo diario interiore costellato di musiche: un panorama a perdita d'occhio che comprende non solo i maestri supremi e prediletti, che ritornano come i temi di una sinfonia, ma anche i minori e sconosciuti ai più, come Anton Rubinstein, Grieg, Bonporti, Villa-Lobos, Fanny Mendelssohn, Max Reger. Uno degli aspetti più simpatici del libro è come musiche tanto amate siano arrivate al suo orecchio; mai nelle sale deputate, dove avvengono, come si dice in gergo giornalistico, le "grandi esecuzioni", ma in occasioni quotidiane, nel canto di una zia, su fortunosi giradischi, sul pianoforte di un amico, in colonne sonore catturate in qualche cineclub, occasioni tuttavia innestate nella vita come luminose e indelebili verità: ciò che in fondo significa "cultura musicale" nel senso più proprio. Così, per lui non è questione di generi, di colto e popolare, ma di autenticità e di definizione stilistica, come nelle canzoni di un Brassens, Édith Piaf, Juliette Gréco e tanti altri. Inutile dire che spesso il maestro smaschera il simulato dilettante: basta leggere le pagine su Brahms e Flaubert, due "tempi", uno in musica e uno in prosa di profonda affinità: dove le "chutes", le cadenze delle frasi annotate dallo scrittore, ricordano gli abbozzi di tanti musicisti, Mozart o Beethoven ad esempio, che segnavano, più che i temi, i punti chiave della modulazioni. Ma è continuo il tessuto di ricordi, aneddoti, citazioni di questo libro, dove l'amore per la musica non è evasione, ma moltiplicatore di esperienze umane e culturali tanto estese quanto profonde. Giorgio Pestelli
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