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Questo di Carlo Donà è un libro importante, in particolare per gli specialisti di letteratura e cultura medievale (anche se non solo per loro). Il punto centrale della ricerca è la presenza funzionale di un animale all'interno di racconti di svariata natura (leggende, fiabe, testi letterari) e diversissima collocazione geografica e cronologica (dall'antichità mediterranea e orientale alla letteratura medievale e al folklore europei alle tradizioni americane e africane). L'animale che compare in queste storie è sempre per qualche motivo un essere sacro e la funzione che svolge è quella di guidare un uomo (generalmente un cacciatore) o un popolo in un viaggio verso una nuova condizione o collocazione. Le specie sono varie, quadrupedi selvaggi e abitanti dei boschi come cervi, lupi, cinghiali e orsi, o domestici come cavalli, tori, scrofe e arieti, o uccelli o serpenti e anche la funzione di guida che compiono si articola variamente, pur restando sempre riconoscibile e integrandosi con coerenza all'interno dei racconti. L'animale e il viaggio costituiscono infatti un mitologema, un elemento narrativo di origine mitica, generatore del senso della storia nel quale è inserito.
Seguendo l'articolazione del volume, l'animale guida può entrare in racconti di migrazione e di stanziamento di popoli o di fondazione di nuove città. In altri testi diventa un aiutante o un salvatore, che porta o rapisce fuori del consorzio umano, verso un'altra terra che è poi l'oltremondo, ovvero il mondo dei morti, dove si resta, resi immortali, o da dove si ritorna rinnovati o incoronati. In altri ancora l'animale conduce l'uomo a un essere soprannaturale - una dea o una fata - che regna o vive nell'oltremondo e diviene l'amante o la sposa di colui che l'ha incontrata: è questo il motivo più familiare ai lettori di romanzi medievali, quello che Donà chiama della "caccia amorosa", dove la fata, erede di arcaiche divinità femminili della caccia, è essere ambiguo, portatore di felicità e di prole ma nondimeno ancora connesso con il mondo dei morti.
Impressiona la stabilità del mitologema, che attraversa le società senza subire sostanziali variazioni, collocandosi anche nella tradizione letteraria "alta", e che non muta tratti e funzione neppure dopo l'avvento del cristianesimo, quando l'animale guida penetra anche la letteratura agiografica, diventando il compagno di un religioso o lo scopritore di un corpo santo o una specie di angelo che converte a Cristo. L'origine di questo resistente nucleo narrativo è da porre in un'antica e comune cultura totemica, progressivamente scomparsa nella sua integrità di significati e di connessioni interne, ma della quale affiorano per secoli gli elementi nella letteratura e nei simboli. Una cultura che risale probabilmente all'età paleolitica, quando la comunione e l'antagonismo fra l'uomo e gli animali dovevano essere molto stretti, ben prima dell'affermazione della più "moderna" mentalità antropocentrica (quella, per esempio, che trova in Adamo, signore degli animali e loro nomenclatore nella Genesi, uno dei suoi archetipi). Naturalmente, la coerenza dei racconti che discendono da quell'epoca lontana è quella del mito, all'interno del quale non vale la logica dei contrari e dal quale non possiamo aspettarci delle soluzioni, almeno nel senso "logico" che l'ascendenza razionalistica della cultura occidentale vuole. Come giustamente osserva Donà, il mito è una metafora per parlare di qualcosa che sta al di là delle possibilità della lingua (e forse anche delle capacità di autocoscienza del genere umano).
Il libro è costruito su una documentazione molto vasta: più di cinquecento testi, diversissimi fra di loro come si è detto, e una bibliografia critica di ampio respiro, ma dispensata con ragionevolezza (e con attenzione per il lettore meno preparato) anche nei casi in cui potrebbe sfuggire di mano. Per questo è un magnifico strumento di lavoro per chi si occupa di medioevo e di folklore, prodigo di osservazioni e interpretazioni, senza tuttavia scivolare nei tecnicismi antropologici o narratologici o funzionalisti. Per questo è però anche un bel libro, voglio dire per chi lo legge, per le nozioni e il piacere che ne ricava, grazie a un linguaggio nitido e preciso (che proviene a Donà dalla sua professione di filologo e medievista), ma segnato anche da un certo ironico understatement nei confronti della materia e dell'autore-mitografo, coraggioso e tenace scrutatore delle tracce che per lande e foreste l'animale sacro lascia dietro di sé.
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