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A una società che censura l'esperienza radicale della morte come assurda oscenità, che ha paura della sofferenza e della sua espressione quasi fosse contagiosa, Philippe Forest propone il lutto come soggetto letterario. La perdita intollerabile della figlia di quattro anni aveva già assunto la forma di romanzo in Tutti i bambini tranne uno (Alet, 2005; cfr. "L'Indice", 2005, n. 9): un dramma vissuto e restituito nella sua cruda verità, senza elisione dell'orrore, nei suoi aspetti atroci ma anche teneri.
Il dolore ha un carattere ossessivo. Nel secondo romanzo, Per tutta la notte (il padre alla bambina: "Lo sai che ti penso per tutta la notte"), Forest riprende il racconto nel 2007 anche in un saggio sulla fase terminale della malattia, sulla violenza dei meccanismi ospedalieri in un reparto di oncologia pediatrica, sulla routine asettica del faticoso, solitario lavoro dell'agonia che rende vane le ultime parole d'amore: questo è appunto un romanzo d'amore la cui eroina è una bambina di quattro anni. Il rituale burocratico delle esequie, poi, e il cerimoniale kitsch della cremazione impongono a chi vi assiste una parvenza di autocontrollo, malgrado lo sconcerto e lo smarrimento di fronte al vuoto ingestibile che si è spalancato. Emerge qui la presenza, discreta nel primo romanzo "paterno", della giovane madre Alice. I genitori sopravvissuti dialogano accomunati dalla stessa follia: stare sempre con il pensiero accanto a Pauline, vagare in macchina senza meta, girare intorno al cimitero, dormire in albergo, cadere nel sonno sotto l'effetto di alcool e farmaci, sparire nell'isolamento estremo di una casa di campagna, essere tentati dal suicidio. Parlano del libro che lui sta scrivendo per dire l'assenza, la mancanza, e che non sostituisce un corpo, ma punta sulle parole per sconfiggere l'oblio, come in quel gioco infantile di società, Memory appunto.
Un libro non guarisce la ferita, non conforta, serve però ad afferrare e trattenere nel presente il ricordo. La scelta della scrittura permette di ripensare le emozioni, di riappropriarsi della storia e capirne il senso, anche se è carica di ambiguità e contraddizioni e comporta vergogna, turbamento, senso di colpa per il piacere che comunque concede, pur se mescolato a una rinnovata sofferenza. Sostiene Forest che la letteratura non favorisce l'elaborazione del lutto, ma aiuta a resistere alla tragedia perché la parola letteraria è sempre una parola di rivolta che rifiuta la morte. Si interroga tuttavia sulla legittimità di trasformare il dolore in letteratura, di dare a esso una dimensione estetica in un romanzo che denuncia la sublimazione letteraria della morte e insieme vi contribuisce.
Gli espedienti per rivedere Pauline sono illusori, come il sogno che accorda fugaci sensazioni di felicità, o la fotografia che lotta contro la scomparsa ma fa apparire un fantasma, un essere che è passato, di cui fissa solo un gesto, uno sguardo, un sorriso. La grazia di una bambina speciale può invece rivivere attraverso le parole scritte, lette, e le immagini mentali da esse suscitate. Si chiedeva Pauline dove e con chi i personaggi fiabeschi, quando si chiude il libro, proseguono le loro avventure. Ai genitori "orfani" diventati personaggi letterari di finzione resta allora una possibilità di riunione: "Chissà dove, i nostri doppi di carta avrebbero continuato a esistere insieme".
Anna Maria Scaiola
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