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Il volume risponde egregiamente a molte domande sulla storia delle biblioteche, a partire dalle epoche più antiche. Già dal 1600 si sono pubblicate descrizioni delle raccolte librarie nel mondo classico, utilizzanti fonti diverse: Varrone, Plinio, Svetonio, e soprattutto Aulo Gellio. Quest’ultimo attribuiva a Pisistrato il merito di aver fondato la prima biblioteca pubblica per dare un assetto stabile ai libri omerici: notizia probabilmente falsa, in quanto all’epoca non esistevano corporazioni di scribi. Per tutta la fase storica precedente ad Aristotele, i libri venivano conservati in nicchie scavate nelle pareti dei templi, o in copie custodite nelle case degli eredi e dei conoscenti dell’autore; la scarsità degli esemplari dipendeva sia dal prezzo elevato del papiro sui cui erano scritti, sia dalla minima alfabetizzazione della popolazione: «In una società in cui prevale la comunicazione orale, il libro è considerato un veicolo non primario di comunicazione». Fu appunto Aristotele il primo a riordinare nella sede del Peripato una raccolta organizzata di libri di discipline diverse, e fu il suo modello bibliotecario a influenzare la creazione delle biblioteche ellenistiche e poi romane, a partire dalla più famosa e fornita, di Alessandria. Sulle vicende di quest’ultima, Canfora si sofferma a lungo. Racconta della sua fondazione, ad opera di Tolomeo II Filadelfo (285-246 a.C.), che vantando un patrimonio librario di circa 500.000 rotoli, perseguiva il miraggio di costituire una biblioteca universale. Canfora puntualizza poi le diverse fasi in cui essa si è stata distrutta: romani, cristiani e musulmani furono corresponsabili dello sfregio portato all’umanità. Gli altri saggi contenuti nel volume, parimenti interessanti, riguardano la diffusione delle biblioteche nella Roma antica, la formazione delle prime biblioteche private, la cesura culturale rappresentata dalla Rivoluzione francese, i differenti ruoli e rilievi delle Biblioteche Nazionali italiane.
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