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Ho acquistati questo libro dopo aver letto “Le ho mai raccontato del vento del nord” dello stesso autore. Il libro precedente mi era piaciuto molto ma questo secondo libro mi ha invece delusa. La storia procede lenta e la trama è poco avvincente e a tratti noiosa. Soprattutto nella prima metà del libro la storia fa fatica a decollare e sono stata tentata più volte di abbandonare la lettura. In conclusione non consiglio la lettura di questo libro.
Una storia d’amore che diventa una storia di manipolazione. Una donna che, a poco a poco, viene proiettata in un incubo, con parenti e amici che la giudicano pazza e visionaria, a causa di un uomo apparentemente perfetto: il fidanzato ideale che, in realtà, le fa il vuoto intorno. Finale suspense. Glattauer non raggiunge le vette de “Le ho mai raccontato del vento del nord”, ma nell’affrontare stalking, persecuzioni e ossessioni è più attuale che mai. Claustrofobico
Solo per poche prime pagine del libro il lettore sentimentalista potrebbe sperare che il sapiente Glattauer saprà gratificarlo mantenendo una narrazione i cui prevedibili sviluppi rispettino le attese della trama, soddisfatte nel precedente romanzo. La scrittura mantiene i livelli di coerenza e ritmo propri delle precedenti prove ma questa volta Glattauer dimostra di saper esplorare diverse derive di quel sentimento abitato che è la passione amorosa, quelle cioè sottotraccia delle relazioni di potere ed in particolare le asimmetrie dei punti di vista dei diversi personaggi che intessono la trama, in un gioco di specchi rivelanti la menzogna ed il tranello di quello che nel sentire comune è definito come amore e gelosia. Nel romanzo la forma narrativa serve a Glattauer per comunicare al lettore che egli solo apparentemente ha qui intenzione di rassicurare con il titolo. A confrontarsi con questa necessità il lettore è chiamato più volte nel romanzo. Nel giudicare le scelte di Judith, le sue debolezze e le sue passioni. Glattauer intende ora rivelare un aspetto di scrittura rimasto sotto traccia nel precedente romanzo, rivolgendosi ad un pubblico target che sappia apprezzare anche un diverso "sapore dell'intelligenza narrativa", più specifico e qualificato rispetto a quello sia pur sempre intelligente ed ironico del composito riferimento generalista del precedente romanzo. Ciò non toglie che Glattauer non si sprechi per ordire un finale convincente. Non che la psicologia di Hannes possa risultare nella realtà banalmente ossessiva. Ma, almeno, sarebbe piaciuto conoscere qualcosa di più della filogenesi per rendercene la verosimiglianza, visto che è difficile pensare di trovarsi di fronte ad un malvagio socio patico vissuto nascostamente per quarant'anni, al lettore sarebbe bastata qualche pagina sulla verosimiglianza sociale ed affettiva dei precedenti di Hannes, di come gli sia stato possibile sviluppare i suoi curriculari di menzogne ossessive.
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