Alcool a fiumi, avventure sessuali, scorribande in macchina lungo la statale. Per sempre carnivori sembrerebbe concludersi dentro al recinto del "romanzo giovanile" e poco, forse, aggiungere a un genere ormai codificato. Storie di sballo e disperazione, raccontate attraverso una lingua mescidata, espressionista e di ricerca, generosa di espressioni gergali e dall'andamento scomposto, che rincorre continuamente il sound di un italiano vivo. Ma sono i protagonisti di questa avventura, Polonia, il Dentuso e Mako, a creare uno scarto rispetto a questa tradizione. Docenti in un liceo di provincia, con i loro pensieri e comportamenti rivelano l'inattualità di un mito altrettanto codificato: quello del professore. Le figure che emergono dal romanzo sono quanto di più lontano dal modello dominante, e il professore etico (e incompreso) diventa cattivo maestro, in tutto e per tutto. Nell'opacità di una vita dal fiato corto, dove i dolori pregressi e la precarietà sembrano non lasciare spazio ad altro, i giovani insegnanti precari e sottopagati del "Nuova Caledonia" non sembrano più nutrire alcuna ambizione a lasciare un segno, a farsi cambiamento. E alla tanto rimpianta perdita di prestigio sociale della classe docente, i personaggi del libro non trovano, né cercano, risposte. Semplicemente non rispondono, facendo terra bruciata tutto attorno. L'alternativa è una condotta dissoluta e adolescenziale, che cerca in ogni modo di rimandare una presa di coscienza. Un rifiuto di responsabilità, quindi, che mette in crisi il susseguirsi delle generazioni, il trasformarsi dei figli in padri, degli allievi in maestri, negando al tempo stesso ogni possibile scontro diretto, ogni rivolta. Dalla morte della madre di Polonia, fino alla coda violenta, quasi pulp, con cui va a chiudersi il romanzo, la speranza è sempre sostituita dall'attesa. Un'attesa dettata dalla mancanza di prospettive, che si identifica con la terra in cui è ambientata la storia: la provincia di Taranto con il suo lungomare, gli abusi edilizi e le strade tortuose di campagna. Una terra di confine, un brutale far west in cui vigono ancora vecchi codici, non ultimo la legge d'onore. E un altro aspetto rende interessante questo libro: l'essere un romanzo storico. Una data precisa non c'è, ma il fatto che i personaggi paghino in lire e vadano in giro con una Uno Turbo retrodata gli avvenimenti di più o meno quindici anni. Un piccolo scarto di tempo, necessario in parte a sincronizzare ricordi e narrazione di una storia che ha molto probabilmente larghi spunti autobiografici, ma che cambia completamente l'angolazione. Questo permette a Cosimo Argentina di tentare una sorta di riappropriazione filologica del malessere, di cercare i meccanismi e le radici che hanno portato a questo presente. Poche, però, sembrano le differenze con i giorni nostri, e il ritratto che viene fuori è quello di un paese impantanato, neanche sfiorato dal cambiamento. Ma un contraltare al nichilismo e alla disperazione di ambiente e personaggi c'è, ed è lo sguardo impietoso di Leone Polonia, protagonista e io narrante di Per sempre carnivori. Disincantato e corrosivo nel costruire bozzetti e atmosfere, con la sua voce nera descrive senza veli la caduta libera del padre rimasto vedovo, spettro che combatte altri spettri, e le nottate con i due compagni, fraterno trio che durerà fino alla fine. Ed è proprio nel rapporto con i due, nel colmarsi a vicenda le proprie assenze, che si crea l'altro grande filo conduttore del romanzo: l'inno alla vita. Un appello al brivido della libertà, che, in più passaggi del romanzo, Argentina chiama amore. Francesco Morgando
Leggi di più
Leggi di meno