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È stata sicuramente una fatica improba tradurre dall'argot ultracontemporaneo questo fumetto, tutto basato nell'originale su ritmi e suoni della parlata di un adolescente. Le abbreviazioni gergali, infatti, quasi inesistenti in italiano, così come le inversioni sillabiche del "verlan", rendono talvolta un po' ostica la lettura e ci fanno sentire sicuramente più lontana la vera, verissima voce di Kevin quattordici anni e il mondo che gli pesa addosso che racconta come sa e come può la sua storia. E dalla voce di Kevin, che in origine era il protagonista di un romanzo, solo successivamente ridotto a fumetto nelle crude immagini di un bianco e nero fortemente espressivo, vediamo emergere tutto l'universo di un vecchio quartiere di quasi periferia: la famiglia, ridotta a una madre esausta per i massacranti turni di notte in ospedale, la scuola, che isola i ragazzi difficili e li rinchiude, fin dalla prima media, in apposite sezioni "sociali", e gli amici, sempre sull'orlo della rissa razziale o, se più grandi, già invischiati nel sottobosco della piccola delinquenza. Ma tutto questo per lui è la normalità, la vita prima che cominciassero i guai. E i guai, come in ogni tragedia che si rispetti, nascono da un amore sbagliato. Kevin perde la testa per una ragazzina delle classi normali, una con le trecce, che suona il violino, e alla festa di compleanno invita amici che si chiamano Marie-Cécile o Norbert. Per lei e per conquistarsi il rispetto di quelli che la circondano, Kevin deve vestirsi alla moda, farle dei regali, avere dei soldi e lo fa nell'unico modo che conosce, nell'unico che sia alla sua portata, entrando a far parte di un gruppo di balordi che lo usano come talpa nelle rapine. La tragedia corre così verso la sua naturale conclusione mentre Kevin, nella cella di un riformatorio, continua a non capire che il suo errore più grave è stato un amore impossibile. Chiara Bongiovanni
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