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Per Ionesco il 1962 è stato un anno particolarmente fecondo. Tre nuove pièces – – “Delire à deux”, “Le Piéton de L’Air” e “Le Roi se meurt”” – sono venute ad aggiornarsi al suo già ricco e numeroso repertorio. “Délire à deux”, atto unico, tutto intessuto dal litigio di due esseri squallidi e inconcludenti, sa di scherzo. Ma è soltanto scherzo? Per affermarlo si dovrebbero chiudere gli occhi sullo spaventoso controcampo che accompagna tutto il litigio dei protagonisti: la casa che crolla, le bombe che attraversano la scena, la guerra, le stragi attorno. E’ questo controcampo che rende allucinante, tragicamente assurdo e inopportuno il dialogo dell’uomo e della donna che consumano la crisi del loro rapporto amoroso. Assai più impegnativo, indubbiamente , “Le Piéton de l’Air”. Qui la stessa vicenda è un esplicito iter verso il deciframento dell’enigma della vita. L’autore ci fa assistere ad un volo nell’aldilà: un’evasione che rammenta, tradotte in termini moderni, le classiche discese agli Inferi, di valore magico e religioso, compiute per attingere da una sorta di deposito ultraterreno quelle spiegazioni che in terra lo sbaluginare del tempo e degli eventi impedisce di scorgere. Il “Pedone dell’aria” è Berenger, commediografo in crisi, ormai convinto che la letteratura e il teatro non siano più in grado di cogliere l’enorme complessità del reale, di esprimere l’incubo spaventoso che è la nostra vita, e che pertanto – d’onde il volo – sia indispensabile andare oltre.
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