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La criminalità organizzata nei rifiuti. Molti nomi e fatti pur se riferiti a oltre 20 anni fa ancora utili a ricostruire certune vicende e comportamenti. La logica della joint venture fra i clan dove si sovrappongono altri affari quali il traffico di armi, ma non solo. Sono molto netti i giudizi dell'A. su alcuni meccanismi tariffari e consortili, tra confusioni volute e truffe istituzionalizzate in meccanismi che vengono terra di conquista di tecnici accomodanti e dei colletti bianchi. Sono fondate molte notizie e cenni su iniziative o guasti, che però a distanza di tanti lustri lasciano l'amarezza della mancata giustizia. Deja vù.
Recensioni
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recensione di Tozzi, M., L'Indice 1998, n. 7
C'è un mondo parallelo che si sviluppa attorno a quello confortevole delle nostre grandi città, un pianeta i cui monumenti non sono il Duomo o il Colosseo, ma Cerro Maggiore e Malagrotta, e i cui frequentatori non sono i turisti della Mole o di Piazza Plebiscito, bensì gli "ecosordi" o gli ecomafiosi. Si tratta di una realtà antipodale e ben radicata nel territorio, che muove circa 25 milioni di tonnellate per anno di "materia prima", che fa girare affari per oltre 30.000 miliardi e che può contare su oltre 2.000 punti di accumulo, di cui quasi 1.400 illegali. E l'universo che fa da scenario alla distruzione e all'avvele-namento del nostro territorio nazionale, quel-lo in cui alligna la ma-
la pianta dell'abusivismo edilizio, quello - infine - alimentato dalla nostra continua, efficiente, incontrollata produzione di rifiuti: circa 450 chili all'anno (1995) che ogni italiano mette in circolo senza neanche immaginare il mostruoso blob che si genera.
Come si sia passati da un mondo ancestrale in cui il riciclaggio era la regola (nulla si distrugge, tutto si trasforma...), da una civiltà arcaica, in cui il rifiuto era praticamente assente, alla società attuale dei consumi, dove il pattume sembra essere il distillato stesso del progresso, non si riesce a capire. Come ciò sia avvenuto soprattutto a Napoli, città di elezione culturale del riciclo, dove nel Settecento le strade erano già perfettamente linde, perché tutto veniva continuamente riportato alle campagne ad alimentare orti e giardini, resta un mistero che neanche Ivan Berni nel suo appassionato "excursus "riesce a spiegare (e che forse meriterebbe un libro intero di approfondimento).
Invece l'autore spiega molto bene che i rifiuti sono la cartina di tornasole della riduzione fisiologica dell'illegalità e dello scempio del territorio, e che - soprattutto - costituiscono il discrimine vero di questo scorcio di secolo: o ci si muove verso le possibilità di un mercato di decine di migliaia di miliardi e di almeno 15.000 nuove unità lavorative, oppure si amplierà quel fossato che vede già ora abbondantemente separati il Nord ricco e industriale, che fa dei rifiuti - in buona sostanza - un affare, e il Sud, povero e corrotto, che lascia l'intero problema nelle mani della criminalità organizzata. Le colate di fango di maggio in Campania fanno evidentemente capire da che parte penda ormai la bilancia. L'alta redditività e il basso rischio penale rendono l'affare rifiuti sempre più appetibile e il legame strettissimo cave-discarica ci palesa subito quale sia l'interconnessione fra degrado ambientale e traffici ecomafiosi.
Qualche fatto positivo però c'è: la nuova legge sui rifiuti (il decreto Ronchi) - che ci porterebbe, se applicata, ai livelli quasi maniacali della Germania, che ormai soffre della scarsità di pattume -, l'esempio di alcune città (Milano prima di altre), e il fatto, incredibile, incredibile ma vero, che comunque gli italiani hanno cominciato a produrre un po' meno rifiuti. I due principi informatori del decreto sono talmente logici da sembrare palmari: i rifiuti non si buttano, si riciclano, e chi produce più rifiuti verrà penalizzato perché non competitivo. Tutto risolto per legge dunque? No, evidentemente, e Berni fa bene a mettere in luce che c'è voluto un "duro" come Rudolph Giuliani per fare cessare gli ecotraffici a New York, e che in Italia si contano almeno tre ottime leggi disattese, pure se all'avanguardia (o forse proprio per quello): Merli, Galli e Galasso non hanno salvato le nostre acque e il nostro territorio, perché dovrebbe Ronchi? Il caso di Roma, all'avanguardia per decenni nel campo del riciclaggio "ante litteram" - o dell'Italia autarchica che, per obbligo, era più moderna di quella attuale nel recupero (1941) - ci dicono che non si tratta di un mero problema tecnologico.
Certo, la discarica resta favorita rispetto al riciclaggio, che costa di più e richiede maggiore dispendio di energie e (compromettenti) atti politici: un buco costa poco e rende moltissimo, come i casi di Pitelli e delle Basse di Stura - raccontati con coinvolgimento e cognizione da Berni - ci fanno chiaramente capire. Ma ormai discariche non se ne potranno più fare per legge e, forse, qualche reato ambientale comincerà finalmente a essere punito. Per inciso, non c'è campo in cui - in Italia - non esista certezza della pena come quello ambientale, e, come è noto, alcuni di questi reati sono crimini veri e propri.
I casi di Milano, Napoli, Roma e Torino costituiscono il nucleo di un libro che è ricco di notizie e che dovrebbe servire a non dimenticare e a non ripetere gli stessi errori: in fondo sapere che fine fanno le nostre deiezioni e che cosa ne sarà delle discariche dovrebbe interessare tutti, considerando che anche al pattume andrebbero correlati i parametri per uno sviluppo sostenibile. Certo, si tratta di abitudini inveterate - quando non c'è malafede o camorra - difficili da estirpare, ma chi lo avrebbe mai detto che a Monaco di Baviera si sarebbe prima o poi rinunciato, senza sollevazioni di piazza, a piatti e bicchieri di plastica anche durante l'Oktoberfest? Dipenderà dal fatto che "conviene" maggiormente affittare una lavastoviglie gigante con servizi in vetro (riciclato) annessi? Ecco, il problema è stato centrato e risolto.
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