È lecito avere qualche sospetto iniziale di fronte a un esercizio autobiografico. Il rischio della tentazione narcisistica è sempre in agguato in queste operazioni. Il lettore di questo breve scritto si renderà subito conto, dopo le prime pagine, che il sospetto è ingiustificato e che l'autore è restato ben lontano da ogni tentazione di autocompiacimento. Peraltro, la narrazione è condotta in terza persona, come se fosse fatta da un osservatore esterno. Paci ha una lunga carriera come ricercatore sui temi del mercato del lavoro, della struttura sociale italiana e delle istituzioni e politiche di welfare, nonché sulla storia del pensiero sociologico classico. Ha avuto anche una nutrita esperienza didattica per aver insegnato prima ad Ancora, nella facoltà fondata da Giorgio Fuà e poi, in epoca più recente, prima del pensionamento, alla Sapienza di Roma. Il libro che viene qui recensito non ha però quasi nulla a che fare col curricolo canonico di un ricercatore e docente universitario, quanto piuttosto con la sua presenza politica. Paci è sempre stato tentato dalla politica, fin dai tempi dei "Quaderni Rossi". Per gli intellettuali formatisi in quegli anni intorno a Raniero Panzieri il confine tra impegno politico e lavoro scientifico è sempre stato problematico, nel senso che erano ben consapevoli dell'esistenza del confine, ma non esitavano a passarlo di volta in volta in una o nell'altra direzione. A un certo momento, dopo un'esperienza di ricerca in quello che è stato all'inizio degli anni sessanta del secolo scorso un vero laboratorio del riformismo (l'Ilses, Istituto lombardo per le ricerche economiche e sociali), dopo alcuni anni di studio a Parigi e negli Stati Uniti, Paci ha deciso per la carriera accademica spostandosi ad Ancona. Accanto all'insegnamento e alla ricerca non ha esitato a lasciarsi di nuovo coinvolgere dalla politica, entrando per una legislatura nel consiglio regionale marchigiano. Ma il momento più intenso di impegno extra-scientifico doveva venire più tardi quando, tra il febbraio del 1999 e il settembre del 2002 venne chiamato dal governo presieduto da Massimo D'Alema a ricoprire la carica di presidente dell'Inps. Chi lo conosce non ha difficoltà a immaginarsi questo personaggio, così determinato ma anche così schivo e gentile, alle prese con una delle burocrazie più mastodontiche (all'epoca più di 30.000 dipendenti) e più intrecciate con la politica a tutti i livelli, nazionale e locale. Più della metà delle pagine di questo libretto riguardano questa esperienza, così insolita, ma anche così affascinante per uno studioso delle organizzazioni sociali: Paci ha potuto per quasi tre anni osservare dal di dentro quello che gli altri ricercatori riescono soltanto a intravvedere dal di fuori, avendo però nel contempo il compito di definire le linee politiche di un tema così delicato e cruciale come la riforma delle pensioni. Il diario di quell'esperienza è un documento di grande incisività che fa vedere in modo pacato, ma anche spietato, come sia difficile governare quando il potere reale è dislocato in gran parte nelle mani di potenti direttori della macchina burocratica che, da un lato, sono in grado di influenzare la produzione normativa e, dall'altro, ne gestiscono le modalità di applicazione. Il tecnico che svolge un ruolo politico e lo stesso politico al quale si riferisce riescono a fare prima di tutto se c'è accordo fra di loro e poi se riescono a innescare un processo virtuoso che trasforma la volontà politica in norme che vengono effettivamente applicate. Alla fine non è che non si possano raggiungere dei risultati concreti, ma l'esito ha quasi del miracoloso. Tra le tante, ho scelto una frase che ben illustra la situazione, quasi kafkiana, di un intellettuale catapultato al vertice di un grande organismo burocratico: "Si rese conto, così, di essere entrato in un mondo complesso, dalle molte facce che in parte si contrapponevano e in parte erano complementari tra loro. Da un lato, c'era la 'macchina Inps', fatta di logiche d'azione incorporate negli anni e difficilmente modificabili. Dall'altro, in parte nascosto dietro questa maschera, c'era il mondo delle lotte di origine politico-sindacale, ma anche di conflitto istituzionale tra dati ruoli e settori
". Al diario pubblico si aggiunge anche un (breve) diario privato da cui emerge il Paci caro agli amici, quello schivo, che ama l'arte e la natura e si pone interrogativi sul senso della vita e esplora le dimensioni della spiritualità. Una testimonianza per nulla in contraddizione con la presenza nella sfera pubblica. Alessandro Cavalli
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