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Anno edizione: 2010
Anno edizione: 2005
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Quarant'anni che leggo libri, eppure proprio non riesco a comprendere in cosa consista la genialità di Pascale (ma non solo la sua). Certo, leggerlo è stato piacevole, il libro scorre e ognuno dei personaggi ha i propri "tic" - verbali, comportamentali e quant'altro - e se questo vuol dire essere ben delineato, bene, diciamo pure che i personaggi sono ben delineati. Ho perfino notato gli influssi di un certo De Lillo (ma quando la smetteremo di fare il verso a qualcuno?)e i pruriti hanno ricordato anche a me l'ultimo episodio di "Caro Diario". Tuttavia... Tuttavia, qualcuno che non ha niente di meglio da fare, sa spiegarmi in cosa consista 'sta genialità di Antonio Pascale? Lascio visibile il mio indirizzo e-mail. Grazie.
mi piace molto la suggestione che crea il libro ed anche la sensazione strana che mi è rimasta addosso. baci antonio e vai così!!!!!!!!!!!
Un brutto passo indietro di Pascale, che firma un romanzo senza capo nè coda, mortalmente noioso, scritto maluccio e poco interessante. Troppo cerebrale e ruffianamente colto, che cerca di introdurre l'aspetto sociale in tutto. Il risultato è un romanzo non romanzo, che fallisce il suo scopo dichiarato. Peccato davvero, i suoi racconti del libro "La manutenzione degli affetti" erano esemplari, e anche se si capisce che Pascale sa scrivere, non ci siamo proprio per citare una frase del libro.....La bellezza sarà anche passata, ma non di qui...
Recensioni
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Ma cosa sta succedendo alla nuova narrativa italiana? C'è grossa crisi, come diceva Guzzanti in un tormentone di qualche anno fa. Una crisi di plot, sicuramente, perché l'intreccio scompare, ma, in corrispondenza, una crisi di valori e di senso sociale, economica, lavorativa, sentimentale, paesaggistica.
Ed è questa crisi che alimenta il dibattito giornalistico sulla realtà (meglio: la contemporaneità) che dovrebbero raccontare gli scrittori. Troppa realtà sommersa, dice ad esempio Aldo Nove parlando del precariato, non si può più scrivere fiction, bisogna riportare. E intanto, però, il lavoro dello scrittore, piaccia o meno, è, da che mondo è mondo, inventare. E l'invenzione parte, banalmente, sempre dalla realtà e dalla biografia anche se, alla fine, richiede uno scarto, un salto, una fatica che non sempre chi oggi scrive ha voglia di fare, a costo di disegnare un perimetro troppo ristretto attorno alla letteratura.
L'ultimo libro di Antonio Pascale, Passa la bellezza , affronta un bel po' di problemi e ossessioni della contemporaneità restando a cavallo fra reportage e invenzione romanzesca: Vincenzo Postiglione ha trentotto anni, è un agronomo, per conto del ministero vaga per la provincia meridionale italiana; ha una moglie, Piera, che fa la postulatrice di santi, si occupa cioè della raccolta di informazioni necessarie al processo di santificazione, per esempio, di Madre Teresa di Calcutta o di Padre Pio; ha un figlio, Alfredo, che s'incanta a guardare il movimento delle foglie. Ma, soprattutto, Vincenzo ha una visione morale, quasi moralista, della realtà che lo circonda, su cui s'interroga ferocemente, mai soddisfatto, sempre critico. E la sua ansia di realtà lo porta, poiché è anche scrittore, a farsi assumere per raccogliere uva biologica nell'azienda di un amico allo scopo di trarne un reportage (il genere vincente della nuova narrativa italiana).
Solo che quest'avventura fra i raccoglitori rumeni gli costa una malattia della pelle che nessun medico riesce a risolvere (benché Vincenzo sia uno che crede nella scienza e non nella fantascienza e spesso liquida molte cose, dalle creme femminili alla new age , come fantascienza). La malattia della pelle su cui Vincenzo sparge consistenti quantità di cortisone (ricorda piuttosto da vicino l'episodio conclusivo di Caro diario di Moretti) è la malattia del paesaggio italiano, della provincia casertana, del centro di Roma e delle periferie urbane. È forse una dilagante malattia del pensiero che cerca soluzione in una disciplina razionale che, ahimè, non fornisce risposte. E neanche serve la teoria dello "sguardo tragico", che uno psicoanalista ha suggerito a Vincenzo una volta entrato in crisi (anticipata) di mezz'età: invece di contare le minestrine e i bagni di mare che a Vincenzo mancano per farsi la cartella, cioè per morire (così Vincenzo calcola gli anni che gli restano), lo psicoanalista gli ha detto di guardare alla vita con senso tragico e dunque con il coraggio di godersi quel che c'è. Vincenzo però non se la gode perché s'indigna, perché il rapporto con suo padre è irrisolto, perché c'è troppa malattia di trasformazione dentro e attorno a lui. Capisce, sì, che il corpo reagisce a ciò che la mente non sa esprimere (e qui gli sarebbe stata proprio d'aiuto un po' di quella new age che non conosce e giudica fantascienza, magari un po' di bioenergetica), ma non trova alcuna soluzione.
L'unica soluzione gliela fornisce la vita, mostrandogli quella bellezza di cui parla il titolo, tratta da una poesia di Sandro Penna, che passa per lui "in bicicletta" sotto forma di avventura extraconiugale: insomma, Vincenzo, nonostante tutto il suo rigore morale, fa parte irrimediabilmente di quel ceto medio, che Pascale stigmatizzava in un racconto del suo precedente La manutenzione degli affetti , persino nella più classica e banale delle soluzioni sentimental-borghesi. E così anche il salvataggio (questo sì da fiction pura, quasi da far west) di una bimba rom ammalata effettuato con il padre di Vincenzo a bordo di un'auto guidata dal nemico giurato Peppe 'o yò yò, serve a vedere di nuovo la realtà, il senso della vita che si rischiava di perdere. E infatti, qualcuno rimprovera a Vincenzo: "Ma è quest'atteggiamento che ti fotte. Hai capito? La razionalità, questa tua idea di rapporto civile e maturo che tiene a bada la sofferenza. Essere sempre preventivi. Ma è tutto teorico. La teoria non impedisce ai fatti di accadere, lo sai o no?". In fondo, al di là di qualsiasi pensiero critico, la cosa più difficile nella vita è accettarsi per quel che siamo, comunque noi siamo.
Ci sono pagine bellissime in questo libro, anche se la trama è episodica e decolla verso un finale troppo facile. Pascale ha stile, ma ha soprattutto un pensiero e questo si apprezza nonostante il pensiero scavalchi l'azione. Dopo La città distratta , reportage sentimentale su Caserta, e La manutenzione degli affetti , raccolta di racconti densa e fortunata (molti i premi letterari vinti), Passa la bellezza è un libro di guarigione e ripensamento, un consuntivo di quanto detto, pensato e recitato dall'autore (molti episodi di questo libro a chi ha seguito Pascale in conferenze pubbliche e lezioni risulteranno noti perché raccontati dall'autore stesso).
Antonella Cilento
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