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Erano belli i giochi nei campi, e le paserére suscitavano un fascino straordinario su di noi; erano il rifugio dei nostri giochi, lontani dallo sguardo vigile e severo dei genitori. Quelle torrette erano spesso chiuse da porte di legno e ferro e sprangate con grossi scadenass, altre invece erano aperte, lasciate libere di essere visitate: entrarci era come conquistare la torre di un castello, il gioco più bello ed eccitante! Entrare in esse ci caricava sempre di una forte tensione: paura di essere visti dal contadino; timore di trovarci davanti qualche strano attrezzo che la nostra fantasia galoppante trasformava in mostro; paura di imbatterci in rapaci che, a detta della mamma (argomentazione inventata per tenerci lontani da quei luoghi), vigilavano sui passeri più piccoli per poi farne preda una volta divenuti più in carne... Era diffuso, tra i ragazzini di campagna ‘nda a nì girare pomeriggi interi seguendo con gli occhi gli uccelli in volo per scoprire dove andassero a deporre le uova oppure a portare cibo ai loro piccoli. Una volta individuati i nidi, si cercava di salire sugli alberi o di entrare nelle torrette per riuscire a toccare le uova o gli uccellini, ma a volte il risultato era disastroso: accidentalmente si rompevano e noi scendevamo quatti quatti, un po’ dispiaciuti, ma sempre pronti a scovare qualcos’altro. Cosa rimane oggi di tutto questo? Tanti ricordi di un’infanzia che sembra vissuta secoli or sono, invece stiamo parlando di due, tre decenni fa; uno stile di vita ormai scomparso soppiantato dai computer e da tutto ciò che è virtuale.
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