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Sull'interpretazione concettuale dei termini greci, vado sulla fiducia che Heidegger li conosca molto bene, per il resto è un analisi formidabile del "pensare originario" in Parmenide. Il pensiero come condizione presente nell'esistenza, in prima istanza, in opposizione ad un pensiero autoreferenziale della metafisica occidentale moderna.
Recensioni
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recensioni di Cambiano, G. L'Indice del 2000, n. 10
Il volume, ben curato e tradotto, raccoglie le lezioni tenute da Heidegger a Friburgo nel semestre invernale 1942-43, ma non contiene una presentazione del pensiero di Parmenide nei suoi vari aspetti, come il titolo potrebbe suggerire. Parmenide è soltanto punto di avvio per considerazioni più ampie sull'aletheia, la verità esperita in modo greco. Il nesso fra questo tema e Parmenide è assicurato dal fatto che la dea presentata da Parmenide nel proemio del suo poema come guida nel suo cammino di ricerca è per Heidegger la Verità. In realtà il testo parmenideo non istituisce questa identità, tutt'altro che certa, e la dea è stata identificata dagli interpreti con la necessità o la notte o Mnemosyne e, da ultimo, con Persefone.
A parte ciò il testo di queste lezioni rappresenta un ricco insieme di variazioni su uno dei temi portanti del pensiero heideggeriano, reso noto a un pubblico più vasto proprio nel 1942 con la pubblicazione di La dottrina platonica della verità: il tema del mutamento dell'essenza della verità in correttezza, verificatosi in Platone, come avvio a quella che egli chiama "epoca della metafisica". Sono però possibili anche altri piani di lettura di queste lezioni. In primo luogo esse forniscono interpretazioni di testi di Omero, Esiodo, Pindaro, Sofocle e considerazioni sul daimonion e sugli dei della Grecia e sulla nozione di mythos, che chiariscono la portata dell'immagine heideggeriana della Grecia. Ne esce confermato che la Grecia di Heidegger è una Grecia senza ellenismo, il quale però riaffiora, malgré Heidegger stesso, quando egli parla della caratterizzazione moderna dell'essenza della falsità, che diventa errore nel senso di uso scorretto della facoltà umana di assenso e dissenso.È evidente qui la proiezione sulla modernità di categorie tipiche della filosofia stoica, come anche quando si parla del bisogno di assicurazione come tipico della modernità, passando sotto silenzio la centralità di questo tema nello stoicismo di età imperiale. La modernità comincia allora già prima di Cartesio, addirittura con l'ellenismo?
Forse più semplicemente si può riconoscere che Heidegger condivide limiti o pregiudizi culturali del suo tempo, in particolare l'accettazione di un determinato canone di classici della filosofia, con conseguenti periodizzazioni delle vicende della filosofia. Importanti notazio-
ni ricorrono in queste lezioni a motivare la radicale differenza della sua immagine della Grecità dalle for-
me dell'umanesimo tedesco di Winckelmann, con il primato accordato alla scultura, come da quelle del cosiddetto terzo umanesimo di Werner Jaeger, e infine dalla stessa Grecia di Burckhardt e Nietzsche, che restano tutte lontane dal compiere il passo decisivo che porta verso l'aletheia esperita in modo greco. Eppure anche in Heidegger persistono fantasmi di concezioni della Grecità, proprie già dell'età goethiana, in particolare la contrapposizione tra Grecia e Roma antica, a tutto favore della prima.
Nella sua presentazione Volpi richiama giustamente l'attenzione sulla novità di queste pagine heideggeriane dedicate a Roma come nodo centrale di passaggio verso la modernità e il dominio della tecnica. Attraverso una dubbia etimologia, Heidegger collega "polis" a "polos" e quindi interpreta la polis non come città o Stato ma come spazio di apertura della verità.In tal modo egli "depoliticizza" la polis, indicando come estranea alla sua essenza l'essenza del potere, che contrassegna invece costitutivamente Roma. È chiaro in vari punti l'intento heideggeriano di "spiritualizzare" il nazismo. Più volte ricorrono spunti polemici contro il biologismo, ma è significativo che nel biologismo egli includa non solo spengler, bensì anche la psicoanalisi, non certo gradita ai nazisti. Dura è anche qui la polemica contro la tecnica, che arriva addirittura a coinvolgere la macchina da scrivere, che sottrarrebbe all'uomo "la dignità essenzia-
le della mano". Il bolscevismo, come potere dei soviet unito all'elettrificazione - secondo il motto di Lenin -, gli appare come il balzo verso la completa organizzazione tecnica del mondo. Intende alludere Heidegger anche alla mostruosa macchina di guerra e di sterminio messa in moto dai nazisti? Sta di fatto che anche in queste lezioni egli continuava a considerare senza ambiguità il popolo tedesco in qualche modo "eletto", proprio attraverso il rapporto privilegiato intrattenuto con la Grecia: solo continuando a rimanere un popolo di poeti e pensatori, esso "ha già vinto ed è invincibile" (p. 187). Nella sua enfasi di riaffermare la missione spirituale del popolo tedesco, egli può arrivare al punto di affermare paradossalmente proprio in riferimento a un poeta come Esiodo che il patire la fame in senso biologico non interessa ai Greci, e al tempo stesso richiamare negativamente il fatto che in quei giorni "il ministero della Propaganda ha annunciato a gran voce che i tedeschi ora non hanno più bisogno di "pensatori e poeti", bensì di "grano e olio". Queste lezioni sono dunque anche un documento prezioso per tentare di penetrare nelle ambiguità di Heidegger in uno dei periodi più oscuri e meno noti della sua attività.
Resta infine un ulteriore possibile piano di lettura diretto a cogliere il modo in cui egli costruisce le sue argomentazioni in relazione a un uditorio. Anche in queste lezioni è frequentissimo l'uso, sovente privo di consistenza, di etimologie di parole greche decontestualizzate e di accostamenti per pura assonanza di parole greche e parole tedesche. Esse però non sono una componente bizzarra o secondaria del pensare heideggeriano, ma servono ad accedere a quelle che egli considera le essenze nascoste celate nelle parole. Si assiste così a un'inflazione di "essenze", in primo luogo "l'uomo greco" o "la grecità", per denotare non semplicemente ciò che è, ma appunto ciò che è "essenziale", ancora da pensare. Il richiamo alle essenze svolge la funzione di cintura protettiva: come possono esserci alternative rispetto all'essenziale? Ciò conferisce alla storia raccontata da Heidegger il connotato di un destino, di una storia priva di contingenza, nella quale ciò che di volta in volta si decide è l'essenziale. Di qui la vana impresa di chi volesse contrapporre altri testi o controesempi a quelli heideggeriani.
Nella ormai sterminata letteratura heideggeriana, prevalentemente ripetitiva, manca ancora un'analisi esaustiva delle strategie e delle tecniche argomentative messe in opera da Heidegger, anche se significativi sondaggi in merito, per esempio da parte di Bourdieu, hanno cominciato a essere avviati. È frequentissimo, per esempio, in queste lezioni l'uso di un modulo argomentativo che richiama da vicino quello usato dai predicatori cattolici negli esercizi spirituali, e che si esprime con formule del tipo "solo se prestiamo attenzione...", "solo se pensiamo...", "per pensare l'essere occorre solo...". Non credo si vada errati nel ravvisare in esse anche una funzione intimidatoria, che mette l'interlocutore nella posizione del peccatore che, per uscire dalla condizione di peccato o di non pensiero, per aprirsi all'annuncio di un nuovo avvento dell'essere, deve necessariamente percorrere la strada indicatagli dal testo, che può così assumere una funzione di salvezza, o, almeno, di preparazione alla salvezza.
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