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Anno edizione: 2016
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recensione di Sozzi, M., L'Indice 1993, n. 1
Nonostante le serrate critiche che il nostro secolo ha mosso all'ottimismo progressista, la fede nel progresso non viene meno, e continua ad inquinare la comprensione del corso reale della storia. Eppure, nessuna delle posizioni politiche tradizionali in America è oggi in grado di fornire un'idea plausibile del progresso: n‚ la destra, che in modo più o meno esplicito continua a perseguire lo sviluppo ulteriore dell'occidente a spese del resto del mondo; e neppure la sinistra, che ha propugnato l'estensione universale del modello di sviluppo occidentale, e che è ormai consapevole delle conseguenze non sostenibili che ciò comporterebbe per il pianeta. Queste le premesse da cui parte l'analisi di Christopher Lasch, ampia e interdisciplinare, che investe politica e filosofia, storia e letteratura, incentrandosi soprattutto sulla cultura anglosassone. È infatti soprattutto Adam Smith, e non l'illuminismo francese, a suo parere, ad aver dato inizio all'ideologia del progresso, avendo per primo respinto lo stoicismo ancora dominante e legittimato appieno il perseguimento del desiderio. Il liberalismo delle origini aveva assicurato che il progresso materiale e quello morale sarebbero avanzati di pari passo: i dubbi, espressi già da Henry George a fine Ottocento, non erano allora serviti da freno all'ottimismo trionfante; solo recentemente tale convinzione è stata definitivamente messa in crisi alla prova dei fatti. Le ragioni per cui a tale ottimismo non si è mai riusciti ad opporre nulla di meglio che un rifiuto del progresso 'tour court' sono analizzate da Lasch affiancando all'idea del progresso quella della nostalgia. Concetti speculari, che si fondano entrambi sulla convinzione del carattere irreversibile del progresso scientifico, e si differenziano solo per la connotazione positiva o negativa ad esso attribuita. Ma il presunto "progresso del mondo occidentale" (ovvero il sorgere del capitalismo e la modernizzazione) non è stato il prodotto di un inevitabile sviluppo, caldeggiato dalle forze progressiste più consapevoli, ma solo il prodotto di una serie di eventi e di circostanze fortunose. Questa ricostruzione spiega il "blocco" della discussione sul progresso, che oscilla tra fede e nostalgia, tra ottimismo e timore, senza trovare un'alternativa. Lasch ritrova invece, in modo certo originale, sovente inatteso e talvolta discutibile, le linee di una tradizione trasversale: dalla reazione alla rivoluzione francese di Burke, al puritanesimo americano (Carlyle e Emerson), dal populismo ottocentesco fino all'anarcosindacalismo di Sorel e al sindacalismo americano e fino ancora ad alcuni movimenti politici del nostro secolo, compresa la resistenza non violenta di Luther Ring. Il filo che lega, secondo Lasch, questi autori e movimenti è l'idea di una virtù che tenga a mente, a fronte del progresso materiale, l'ideale della "buona vita". Una "sensibilità", dunque, più che una corrente intellettuale, riconducibile all'aspetto migliore della cultura piccoloborghese: "il realismo morale, la consapevolezza che ogni cosa ha il suo prezzo, il rispetto dei limiti, lo scetticismo contro il progresso ". Non si tratta ovviamente di una soluzione: lo stesso Lasch ammette che la tradizione populista pone le domande giuste, ma non sa fornire risposte. Tuttavia la lettura di questo libro, ricca ed affascinante, presenta un panorama di storia delle idee poco familiare al lettore italiano.
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