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Un'autentica rivelazione. Da lasciare sbalorditi anche i più competenti studiosi d'architettura russi ed europei. Per la ricchezza dei documenti inediti, per la rarità dei materiali iconografici, per la meticolosità dell'apparato critico, il volume di Federica Rossi Palladio in Russia è davvero un'autentica rivelazione.
Un titolo in realtà fuorviante: è il sottotitolo che spiega l'importanza e la novità del saggio, Nikolaj L'vov architetto e intellettuale russo al tramonto dei Lumi. Diciamo subito: da noi, e non solo da noi, Nikolaj L'vov è un illustre sconosciuto. Perfino a Pietroburgo in pochi sanno, pur vedendola tutti i giorni, che è sua la porta sulla Neva della fortezza di Pietro e Paolo. Un architetto? Non solo. Prima di tutto un formidabile personaggio di letterato e scienziato enciclopedico come ne potevano nascere solo in quel paese in convulsa, febbrile, impaziente trasformazione qual era la Russia nel XVIII secolo, dopo la rivoluzionaria apertura all'Occidente di Pietro il Grande.
Una vita nel complesso breve: nasce nel 1753, muore nel 1803. Riesce tuttavia a conoscere e lavorare per tre zar: Caterina, che lo apprezza ma non lo sostiene (il suo preferito è Quarenghi), Paolo, che lo rivaluta ma regna solo cinque anni, Alessandro I, che riesce a sviluppare una brevissima collaborazione (sale al trono nel 1801, due anni prima della morte di L'vov).
"Insignificante per titoli, intelligenza e statura fisica. Ecco il mio epitaffio": così scrive di sé. Niente di più falso. Di lui così dice l'amico Michail Murav'ev: "Era uno di quegli uomini perfetti e rari, dotato di una sicura sensibilità per la bellezza, colmo di intelligenza e di conoscenze, amava le arti e le scienze". Nasce a Tver', non lontano da Mosca, trascorre l'infanzia nella tranquilla, patriarcale atmosfera della media nobiltà di provincia: un ragazzino curioso, inquieto, testardo ("Se voleva un giocattolo, rompeva quel che gli capitava e se lo costruiva con le sue mani"), insofferente ("Se qualcuno lo sgridava per la sua monelleria, era capace di buttargli una seggiola in faccia"), molto industrioso ("Se c'era da far girare una ruota a vento, correva sul tetto come fosse sul pavimento e la fissava").
A quindici anni gli muore il padre: unico figlio maschio, è costretto a farsi strada da solo. Si trasferisce a Pietroburgo, sceglie la carriera militare, entra nel reggimento della guardia Preobrazenskij, uno dei più prestigioso dell'impero, frequenta la scuola annessa, istituita dal generale Bibikov (uno dei promotori della traduzione in russo dell'Encyclopédie): lingue straniere (francese, tedesco, spagnolo, italiano), matematica, fisica, storia, scienze naturali, letteratura. "Il suo tratto ricorda un compagno di studi aveva un che di magnetico, si faceva sentire inevitabilmente la forza del suo intelletto". Lettore infaticabile, divora Montesquieu, Rousseau, Spinoza, Racine, Corneille, Pascal. Lascia la carriera militare, entra in quella burocratica: nominato, grazie alla conoscenza delle lingue, prima corriere poi funzionario del Collegio degli Affari esteri, viene mandato in missione (per la consegna agli ambasciatori delle maggiori capitali di dispacci, lettere, plichi) in tutta Europa, Francia, Inghilterra, Danimarca, Italia. Uno dei più alti burocrati del Collegio è Petr Bakunin, che nel suo palazzo ha un teatro e un'orchestra: L'vov si rivela abile drammaturgo (di lui sono rimasti quattro testi), ma soprattutto brillante musicista. Oltre a essere compositore, è uno dei primi studiosi del folklore musicale popolare: nel 1790 pubblica una raccolta di canti che è oggi riconosciuta una pietra miliare in questo genere. Si impone anche come poeta: ama il genere sentimentale ed elegiaco, ma affronta talora temi patriottici, esaltando le imprese di Caterina in solenni odi classiche.
La musica, le lettere non sono gli unici campi in cui eccelle. Si interessa di scienza ed economia. La Russia importa carbon fossile dall'Inghilterra a prezzi proibitivi? L'vov studia il problema, trova giacimenti non lontano da Novgorod e riesce a far produrre carbone coke e torba con enorme vantaggio per l'economia nazionale (ma non è ascoltato, la pigrizia secolare della burocrazia zarista gli mette mille bastoni fra le ruote), per primo riesce a estrarre lo zolfo dal carbon fossile.
Fra tutti i suoi molteplici interessi, quello per l'architettura prende presto il sopravvento, e anche qui è un precursore. Nei suoi viaggi, soprattutto in Spagna, nota l'uso della terra cruda nella costruzione degli edifici: non solo lo importa, ma organizza una scuola per servi della gleba dove insegna questa tecnica e insieme forma competenti capomastri, addestra alla realizzazione di ponti, magazzini, al risanamento di terreni paludosi.
La sua formazione è empirica: le uniche materie attinenti all'architettura sono quelle imparate alla scuola del reggimento. Poi, nei frequenti viaggi, osserva, studia, assimila: quella è la sua vera scuola. I recessi dell'Escorial, la galleria di Dresda, il Louvre, Roma con le sue rovine e i suoi mirabili edifici classici, barocchi. Lì impara il senso dell'equilibrio, la magnificenza delle forme, la linearità e il senso delle proporzioni. È uno sperimentatore nell'uso dei materiali: oltre alla terra cruda, introduce la ghisa per i pavimenti e studia nuovi sistemi per l'aerazione degli ambienti (prendendo spunto dalla chiesa di San Simeon Piccolo a Venezia). Ma, soprattutto, il suo modello sommo diventa il Palladio, di cui traduce il primo dei Quattro libri dell'architettura: molti degli edifici da lui progettati o costruiti sono chiaramente ispirati a prototipi palladiani.
Come comincia la sua attività di architetto? Poiché nella Russia cateriniana non era una professione ritenta autonoma (come non lo era quella del letterato, del resto), le sue prime commissioni vengono da alti funzionari del suo ministero, come Bezborodko, o da aristocratici suoi amici. Così progetta la cattedrale di Mogilev, dove vengono adottate soluzioni d'avanguardia, essenzialità della decorazione, accentuazione delle masse, uso del dorico, diventate usuali un decennio dopo nelle creazioni del "classicismi severo" del tempo di Alessandro I; progetta la porta sulla Neva della fortezza di Pietro e Paolo, che rispetta, pur rinnovandolo, lo stile preesistente del Trezzini, il Palazzo delle Poste, dove sperimenta il nuovo linguaggio di corte mutuato dal Palladio. Ma soprattutto progetta, negli anni ottanta, una serie di piccole ville nobiliari (dace) a Pietroburgo e grandi palazzi suburbani (usad'by) di cui nel volume di Rossi vengono raccolti schizzi, rilievi, piante, fotografie di quel che resta (spesso solo rovine o scalcinati edifici in disfacimento).
Dei quattro capitoli che costituiscono il libro, dopo il primo, biografico, certo il secondo (L'vov diventa architetto: formazione e opere) è il più ricco di materiale inedito e documentazione rarissima, il terzo (L'vov e le antichità. Alla ricerca della "verità storica") il più dotto ed erudito, il quarto (Dall'antico al Palladio. L'vov e il "dover essere architetto") il più originale, ricerca innovativa sullo statuto della professione di architetto nella Russia settecentesca e sul palladianesimo propugnato da L'vov.
Un libro che rimarrà a lungo insuperato nella storia della cultura settecentesca russa.
Fausto Malcovati
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