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Pagine del canzoniere. Testo spagnolo a fronte. Ediz. critica
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Descrizione


Ausiàs March è considerato oggi, a ragione, il maggiore poeta lirico del Quattrocento europeo. Il suo dettato duro, programmaticamente ineloquente e talvolta oscuro rompe in maniera drastica nei confronti della tradizione medievale, introducendo, accanto a elementi filosofici e scientifici, squarci colloquiali e vivaci comparazioni attinte alla realtà quotidiana. Si è detto che il suo stile anticipa quello dei metafisici inglese. L'antica quadripartizione della sua opera in canti d'amore, morali, di morte e canto spirituale (una lunga preghiera a Dio dai toni potenti risentiti) non dà che una sommaria idea della gamma tematica del poeta valenzano. In realtà, March attenua e confonde confini tra i generi e ne stravolge le stesse regole costitutive: l'amore, ad esempio, resta metafora centrale nel suo canzoniere, ma perde la funzione modellizzante o salvifica che aveva presso i suoi predecessori provenzali e toscani e viene brutalmente ricondotto sulla terra, con le sue pulsioni carnali i suoi paradossi e le sue contraddizioni. Questa antologia è, in assoluto, la prima traduzione di Ausìàs March in italiano e dovrebbe rappresentare per il lettore una vera sorpresa. Dovrebbe servire anche a farci capire come il destino di un capolavoro, e di una civiltà letteraria, possa essere ingiustamente condizionato da fattori estrinseci. quali l'appartenenza a una lingua minoritaria.
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Dettagli

1998
27 febbraio 1998
Libro universitario
404 p.
9788879840781
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Indice

Introduzione/ Nota informativa/ Pagine del Canzoniere/ I. Axí com cell qui'n lo somni-s delita II. Pren-m'enaixí com al patró qu'en platga III. Alt e amor, d'on gran desig s'engendra VIII. Ja tots mos cants me plau metr'en oblit X. Sí com un rey, senyor de tres ciutats XI. Quins tan segurs consells vas encerquant XII. Ja no esper que si'amat XV. Si prés grans mals un be-m serà guardat XX. Algun passats donaren si a mort XXIII. Lexant a part l'estil dels trobadors XXV. No-m fall recort del temps tan delitós XXVIII. Lo jorn ha por de perdre sa claror XXIX. Sí com lo taur se-n va fuyt pel desert XXXIX. Qui no és trist de mos dictats no cur XLII. Vós qui sabeu de la torta-l costum XLV. Los ignorants Amors e sos exemples XLVI. Veles e vents han mos desigs complir XLVII. Bé-m maravell com l'ayre no s'altera LVI. Ma voluntat, amant-vos, se contenta LXIV. Lo temps és tal que tot animal brut LXVIII. No-m pren axí com al petit vaylet LXXII. Paor no-m sent que sobreslaus me vença LXXIII. Als fats coman tot quant serà de mi LXXVI. On és lo loch on ma penssa repose LXXVII. No pot mostrar lo món menys pietat LXXVIII. No guart avant ne membre lo passat LXXIX. O vós mesquins, qui sots terra jaheu LXXX. Tot laurador és pagat del jornal LXXXI. Axí com cell qui-s veu prop de la mort LXXXII. Quant plau a Déu que la fusta peresqua LXXXIII. Si co-l malalt, qui lonch temps ha que jau LXXXVI. Si-m demanau lo greu turment que pas LXXXIX. Cervo ferit no desija la font XCV. Qué val delit puys no és conegut XCVI. La gran dolor que llengua no pot dir CI. Lo viscahí qui-s troba'n Alemanna CII. Qual serà'quell que fora si matrix CV. Puys que sens tu algú a tu no basta CVII. O quant és foll qui tem lo forçat cas CX. Là só atès d'on só volgut fugir CXI. Axí com cell qui-s parteix de sa terra CXVIII. No cal dubtar que sens ulls pot hom veure CXXIIa. Tots los delits del cors he ja perduts CXXIIb. Mon bon senyor, piux que parlar en prosa CXXIII. Mentre d'Amor sentí sa passió. Note

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No tinc prou coneixements de la llengua italiana per a escriure un comentari més llarg. Només puc dir que il tuo servizio è eccellente!

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Voce della critica



March, Ausiàs, Pagine del canzoniere, Luni, 1998
Jordi de Sant Jordi, L'amorosa cerchia. Poesie dell'ultimo trovatore, Luni, 1997
recensioni di Meliga, W. L'Indice del 1999, n. 01

La prima storia poetica della Catalogna è una storia di dipendenza dalla sua grande vicina, l'Occitania dei trovatori.Catalani di nascita e di vita, ma provenzali di lingua e di contenuti, sono stati alcuni importanti poeti dalla fine del XII alla fine del XIII secolo, comunemente annoverati fra i trovatori.Anche per tutto il Trecento prosegue una tradizione tardo-trobadorica, per quanto progressivamente segnata dall'inserimento di catalanismi linguistici e di deviazioni tematiche dal canone provenzale come era stato stabilito dai trovatori e poi perpetuato dalla tradizione accademica dei concorsi poetici della Gaia Scienza di Tolosa, dal 1323 in poi.La dipendenza poetica dei catalani dura così fino al Quattrocento, un lungo periodo al termine del quale si verifica un brusco passaggio dalla continuità all'originalità e all'innovazione.

Questa doppia uscita catalana nella ormai (felicemente) affermata "Biblioteca medievale" ci offre la possibilità di misurare sui testi la distanza percorsa nel periodo piuttosto breve di una trentina di anni.Nella prima parte di esso si colloca l'attività di Jordi de Sant Jordi, morto verso il 1424.Il sottotitolo che accompagna l'edizione è indubbiamente indovinato: Jordi è l'ultimo autore nel quale linguaggio e topica risalgono per larga parte ai provenzali, anche se accanto a essi si intravede la presenza del modello italiano (dai siciliani a Petrarca).Jordi è un cavaliere cortigiano del re Alfonso d'Aragona, che alterna la poesia al servizio militare e diplomatico per il proprio signore e, come per altri poeti catalani precedenti, è legato al mecenatismo della corte.Il fenomeno non è certo soltanto catalano, ma nella società ispanica - società, come si suol dire, sostanzialmente senza Rinascimento - la continuità con l'esperienza della poesia aristocratica e feudale del Medioevo diventa insuperabile.Non tutto però è imitazione o convenzione, e in certi casi Jordi, combinando immagini e rimanti dei trovatori classici con suggestioni provenienti da Dante (probabilmente quello "petroso") e Petrarca, smuove la scolastica ripetitività del modello cortese, con risultati a volte efficaci.Viene da pensare alla resistenza e alla viscosità dei modelli e degli stili, a una certa loro "adattabilità" ma anche alla possibilità, talvolta, di un loro energico ridimensionamento: subito dopo Jordi, infatti, scrive Ausiàs March (1400/1401-1459), il più grande poeta catalano del periodo - "senza dubbio il più grande poeta lirico europeo del quindicesimo secolo", si spinge a dire subito all'inizio della sua introduzione il curatore Costanzo Di Girolamo, e forse non ha tor-
to -, poeta alquanto distante da Jordi, suo quasi coetaneo, e naturalmente anche dalla precedente poesia catalana.

Devo dire subito che queste due novità catalane si salutano con soddisfazione soprattutto per March, del quale questa è la prima edizione italiana: edizione, anche se non completa, molto ben fatta, con introduzione, traduzione critica e un grosso commento.Per chi non lo conosce March è certamente una sorpresa.È un autore largamente innovativo, originale, anche se il risultato a cui arriva è frutto di un'operazione letteraria complessa, sfaccettata e anche contraddittoria.In primo luogo c'è la svolta linguistica: egli è il primo poeta catalano che compone nella sua lingua materna (lingua letteraria già dalla seconda metà del secolo XIII, ma soltanto nella prosa). Di Girolamo osserva che è forse stata la lettura dei nuovi classici volgari non provenzali, specialmente degli italiani e fra questi di Dante (la traduzione catalana della Commedia è completata nel 1429), a suggerire a March questo primo vistoso allontanamento dalle abitudini dei poeti catalani.Ma March ha proceduto molto più in là dei suoi colleghi e predecessori soprattutto nella rottura dai modelli ereditati dalla tradizione provenzale, e in questa operazione potrebbe di nuovo avere contato la lettura di Dante.Qui sta la novità della sua poesia, la sua nuova poetica, definita senza mezzi termini da Di Girolamo "del tutto irriducibile a qualsiasi antecedente", fondata com'è su "una nuova retorica del dettato poetico".

Sono queste conclusioni possibili soltanto oggi, quando, uscendo da una concezione tutto sommato monolitica e unidirezionale dello sviluppo della lirica dal Medioevo all'Umanesimo, sono state in gran parte chiarite le differenze e le tensioni che animano la poesia dei trovatori prima, la varia dialettica dei continuatori poi. Di Girolamo cita l'opinione di chi, più di ottant'anni fa, ha potuto ritenere March un trovatore ritardatario: niente di più falso, anche se non dobbiamo pensare a un poeta moderno nel senso del petrarchismo o di un lirismo soggettivo e pre-romantico.Mi sembra invece che molto della indiscutibile suggestione che la poesia di March esercita stia proprio in una certa mescolanza di tratti, alcuni pianamente medievali, altri del tutto suoi.Di medievale c'è ovviamente la centralità dell'amore nell'ispirazione poetica, ma si tratta di un amore ormai spogliato di ogni funzione morale o salvifica e spesso ricondotto, nell'amante come nella donna, all'azione del desiderio.Un amore, dice March, "bello, (...) e brutto", sottoposto alla stessa mescolanza di carne e anima che è dell'uomo. C'è un "pessimismo" amoroso di March, anch'esso non più medievale, che in qualche modo continua e insieme rovescia il laicismo spirituale, sostanzialmente ottimista, già dei trovatori e poi di tutti i continuatori. Altri tratti di contenuto e di stile sono analogamente mescolati di vecchio e di nuovo.L'ambiente è privo del consueto décor della poesia medievale (inizi primaverili, fiori, uccelli, loci amoeni) ma singolarmente pieno di mondo grazie alle numerose e varie comparazioni che segnano le poesie; sono anch'esse un'eredità medievale, ma colpisce appunto la loro invadenza.Insieme, concetti e immagini tratti dalla medicina (più che dalla filosofia), specialmente a proposito della fisiologia e patologia dell'amore, largamente usate già da siciliani e stilnovisti. Tutto questo contribuisce alla formazione di una lirica "impura" (la definizione, molto azzeccata, è ancora del curatore), sentenziosa e narrativa - altro vistoso tratto medievale, almeno in quanto fuori dalla linea stabilita dal petrarchismo -, anche rigida e involuta e talvolta oscura; una lirica linguisticamente e stilisticamente argomentativa, tutta al di fuori del processo di raffinamento, di decantazione che, questo sì quasi sempre a direzione unica, va dai trovatori ancora a Petrarca.

In qualche modo March è dunque un ritardatario - non certo però nel senso dell'epigonismo - e in altro modo anche un isolato.Non è possibile ipotizzare che cosa sarebbe accaduto dopo, se la sua poesia avrebbe fatto scuola o se invece anche la Catalogna sarebbe andata incontro a una sorta di "normalizzazione" nel segno del petrarchismo.Già durante la vita di March l'orientamento castigliano dei sovrani aragonesi prefigura la perdita dell'indipendenza politica e culturale dei paesi catalani, che si consumerà, pochi anni dopo la sua morte, con il matrimonio e poi la salita al trono di Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia. La riduzione della Catalogna a provincia non ferma la fortuna di March in Spagna, come testimoniano i molti manoscritti e stampe dei secoli XV e XVI, ma certamente il declino della produzione letteraria in catalano che immediatamente ne segue non poteva favorire la continuazione di un'esperienza poetica così singolare e straordinaria.

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Ausias March

(Gandía, Valencia, 1397? - Valencia 1459) poeta catalano. Nato da famiglia di recente nobiltà, partecipò dal 1420 alle campagne militari di Alfonso il Magnanimo, poi si ritirò nelle sue terre di Gandía e infine, nel 1450, si trasferì a Valencia. M. è il più grande rappresentante della poesia catalana medievale. La sua lirica vibrante ed energica (138 componimenti pervenuti, per oltre 10.000 versi) ha i toni della sincera confessione autobiografica: tema prevalente è quello dell’amore, ora idealizzato nelle forme del più rarefatto platonismo, ora espressione di una cocente sensualità; ma insieme all’ispirazione erotica assume un forte rilievo l’esigenza morale, a più riprese riproponentesi, di ricondurre l’esperienza a un itinerario d’arricchimento interiore. Svincolatosi dalla tradizione trobadorica,...

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