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Anno edizione: 2013
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Un buon libro, in cui i personaggi sono molto ben caratterizzati. Molti di essi fanno pensare a persone in carne ed ossa che hanno vissuto nella politica, nel business della malavita e nell'apparato mediatico di stato. Sono riferimenti interessanti e pieni di tensione. Interessantissima la figura del magistrato e della moglie che indagano ricordando la figura del mitico Antonio Di Pietro. Lo consiglio.
In voto è complessivo a tutta la trilogia, di cui questo "Il Paese che amo" è degna conclusione. Sarasso ha scritto un'opera monumentale di chiara ispirazione Ellroyana sulla seconda metà del '900 italiano: il consiglio, per chi ne fosse a digiuno, è di leggerla dall'inizio. Una piccolissima pecca: nelle parti svolte in Polonia si fa continuamente confusione tra Cracovia e Varsavia, come fossero un'unica città...
Ho amato moltissimo "Settanta" e speravo di leggere qualcosa dello stesso livello, ma è stata un pò una delusione. Forse perchè già conoscevo come le cose erano andate, visto che ho vissuto quegli anni, ma in generale il romanzo non mi ha preso come ha fatto il precedente. Sarasso è sempre bravo ma meno del previsto.
Recensioni
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Il titolo, “Il paese che amo”, sono le parole con cui termina il libro - le parole con cui inizia il suo discorso l’uomo che ha fondato da poco un nuovo partito e che mira a diventare Presidente del Consiglio. Quello che porta scarpe con il rialzo, il signore delle televisioni private che è sceso in campo perché “L’Italia me lo chiede”. E non si sa se ridere o piangere davanti a queste dichiarazioni, perché noi lettori sappiamo il ‘dopo’.
Nel romanzo di Sarasso il nome del personaggio che, nel 1994, chiude un’epoca aprendone un’altra, è Mauro Fedele - nessuno dei personaggi di Sarasso ha un nome riconducibile alla realtà, ma ci vuole poco per individuare chi siano anche se, nella postfazione, l’autore ribadisce quanto aveva precisato nei due precedenti libri della sua trilogia: “Il paese che amo” è prima di tutto fiction, è “un’inestricabile mescolanza di Storia e finzione”. Accettiamo quello che dice Simone Sarasso, perché la grandiosità del suo romanzo sta proprio in questo - nell’aver studiato (e con impegno non da poco), raccolto materiale, tirato le fila di avvenimenti in apparenza scollegati che hanno avuto luogo in Italia tra il 1981 (dopo la strage di Bologna con cui finiva “Settanta”) e il 1994, e averli rimaneggiati, ricuciti, reinterpretati in una maniera niente affatto pedissequa ma brillante, scoppiettante, viva. Viva nelle parole dei personaggi a ognuno dei quali Simone Sarasso attribuisce quei tocchi caratterizzanti che li rendono unici e indimenticabili. Perché sono tanti i personaggi che si muovono sulla scena e, come d’abitudine, Sarasso li introduce tutti, uno dopo l’altro nei capitoli iniziali. Ci troviamo attorniati da loro - Andrea Sterling, l’Uomo Nero dei Servizi Segreti che fa il lavoro sporco per lo Stato, Mimmo Incatenato, l’integerrimo giudice calabrese che ora è sposato con il giudice Rita Brigante, Ljuba Marekova, la biondina polacca che finirà per diventare pornostar in Italia, Tito Cobra e i suoi garofani rossi, il mafioso Salvo Riccadonna detto Dracula - e ci sentiamo un poco frastornati, come ci succede quando leggiamo un romanzo russo, ci pare impossibile riuscire a differenziarli, a ricordare tutti loro e quelli che hanno a che fare con loro, e invece…, oplà, ecco il colpo della bacchetta magica di Sarasso.
Un accenno al passato, una parola in dialetto, uno sguardo all’incredibile azzurro degli occhi di una, agli occhiali a specchio di un altro - lascia cadere dettagli come sassolini, Sarasso, e intanto, senza neppure accorgercene, insieme a questi personaggi siamo trascinati in un vortice di trame oscure grondanti sangue. Pizza Connection e la raffineria di droga in Sicilia, il mistero delle imprese che falliscono, chiudono e lasciano spazio ad altre nuove che poi falliscono e chiudono a loro volta, il fiume dei soldi che scorre verso la Svizzera, l’attentato al Papa, il sequestro dell’Achille Lauro (che non si chiama così nel libro, naturalmente) e la crisi di Sigonella, l’incredibile vicenda della pornostar che diventa Onorevole, l’esplosione dello shuttle e Chernobyl, la scoperta dell’esercito segreto Gladio e le rapine-carneficine della Uno Bianca, Tangentopoli, i pentiti e il Maxiprocesso degli uomini della Mafia, Falcone e Borsellino - altro ancora?
Non mi era mai capitato, leggendo un libro, di interrompermi così spesso per fare ricerche su internet, per arpionare brandelli della mia memoria, per agganciare ombre di ricordi. Perché una cosa è leggere gli articoli dei quotidiani, giorno dopo giorno, per anni, con un fattaccio che viene spazzato via e sostituito da un altro successivo, e una cosa del tutto diversa è leggere una sequenza unica in cui è il mago scrittore che tira le fila, ammicca, suggerisce, esplicita, mentre un gigantesco riflettore illumina la scena in tutti i suoi angoli. Quando terminiamo la lettura (e grazie al cielo ci sono dei ‘buoni’ per cui tifare) ci sembra di soffocare sotto le macerie del paese che amiamo. Ma no, non sono macerie, non sono neppure immondizie, è un’intera montagna di escrementi (Sarasso userebbe una parola più cruda e più adatta al mondo che descrive) che ci è precipitata addosso.
Simone Sarasso è un grande scrittore ed è anche uno scrittore che ha coraggio - coraggio di affrontare la nostra Storia, di scavare, di impegnarsi in ricerche e in prese di posizione, di non tacere. Anche “Il paese che amo”, come i due romanzi precedenti, è un libro importante, assolutamente da leggere. Con la speranza che venga il momento, per l’autore, di affrontare il decennio successivo e restituircelo in un nuovo romanzo.
A cura di Wuz.it
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