È questa la prima, incredibilmente tardiva, edizione italiana di un insostituibile récit narrante un periodo determinante per il più cruciale cambio di paradigma dell'attività alpinistica degli ultimi quaranta anni, ovvero l'affrancarsi dell'arrampicata sportiva come disciplina pienamente e consapevolmente autonoma dall'alpinismo classico. A dispetto dei venticinque anni di ritardo rispetto alla francese, la presente ha però il vantaggio di porsi come documento storico genuino e, allo stesso tempo, come strumento critico di riflessione su molti aspetti (purtroppo ormai dimenticati o addirittura sconosciuti alle nuove generazioni di atleti o semplici appassionati) della rivoluzione operata dalla cosiddetta minoranza arrampicante nel decennio 1976-1986, il cui principale teatro e punto di aggregazione furono le falesie francesi. L'importanza teorica di un utilizzo critico-retrospettivo è ben testimoniata da un'inedita introduzione in cui i due autori evidenziano oggi come alcune loro previsioni e intuizioni (superamento di un certo grado di difficoltà, sviluppo del coté competitivo organizzato in federazioni su scala mondiale, declinazioni iperspecialistiche della disciplina) non solo si sono puntualmente sostanziate ma, in alcuni casi (ad esempio il traguardo del nono grado e l'età sempre più precoce degli atleti di punta), sono state addirittura superate, a riprova della fondatezza della loro concezione "evoluzionistica" circa le magnifiche e progressive sorti dell'arrampicata libera. D'altra parte è singolare come già nel 1987 gli autori, nell'epilogo, si accorgono con stupore di quanto alcune recenti polemiche tra i nouveaux grimpeurs (esempio esemplare: permettere o meno l'uso della magnesite) siano relitti preistorici. Tuttavia slanci creativi quali la (ri)nascita dell'arrampicata libera sui massicci o l'invenzione della danse-escalade non sono oggi, né saranno in futuro, catalogabili come reperti fossili. Fabio Minocchio
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