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Questo volume comprende i frammenti postumi del periodo che va dall’estate 1872 alla fine del 1874 – fase decisiva nello sviluppo del pensiero nietzscheano, segnata da rotture e bruschi mutamenti di direzione. Dopo l’impetuoso getto della Nascita della tragedia, Nietzsche prepara un secondo grande libro sul mondo greco, questa volta sulla «filosofia nell’epoca tragica». I frammenti postumi rivelano come alle linee della ricostruzione storica si mescoli fin dall’inizio un’indagine radicale sul ruolo dell’individuo conoscente rispetto alla civiltà nonché sulla genesi e i limiti della conoscenza stessa. Specialmente i frammenti del gruppo 19, fra i più rivelatori di tutti i postumi nietzscheani, mostrano la ricchezza del suo pensiero di questi mesi e insieme testimoniano di quali ampie letture scientifiche, filosofiche e linguistiche si nutrisse. L’impossibilità di portar a termine quest’opera è la grande rinuncia dello scrittore filosofico Nietzsche.
Di grande importanza, inoltre, sono gli appunti che riguardano i temi delle Considerazioni inattuali, e in particolare quelli centrati sulla figura di Wagner, che permettono finalmente di capire attraverso quali sottili passaggi Nietzsche sia giunto dal «wagnerismo» all’«antiwagnerismo».
scheda di Vozza, M., L'Indice 1993, n. 2
Il principale motivo d'interesse di questo volume è costituito dall'edizione integrale dei frammenti del gruppo 19, quelli che avrebbero poi dovuto confluire nel "Philosophenbuch", opera a cui Nietzsche rinunciò già alla fine del 1873. In tali frammenti vengono introdotti alcuni temi che caratterizzano il periodo successivo alla "Nascita della tragedia" e precedente "Umano, troppo umano": una fase del pensiero nietzscheano che meriterebbe una collocazione autonoma, tuttora irreperibile nelle ripartizioni canoniche. Tale fase è inaugurata dal breve ma fondamentale scritto "Su verità e menzogna in senso extramorale" e si conclude con la Il Inattuale: "Sull'utilità e il danno della storia per la vita".
Manifestando già una cospicua autonomia teorica rispetto alla metafisica schopenhaueriana, Nietzsche appronta un concetto di verità pragmatico-convenzionale sottratto alle inattingibili profondità proprie della fondazione metafisica e ricondotto alle configurazioni antropomorfiche che le facoltà conoscitive assumono a favore dell'efficacia dell'agire umano. La verità viene ora intesa da Nietzsche come prodotto della "finzione dei concetti", esito di un'attività di legislazione linguistica: "una designazione delle cose uniformemente valida e vincolante. Il valore di verità non è più accertabile dalla logica ma dagli effetti di potenziamento del patrimonio cognitivo ed espressivo proprio di una forma di vita in cui operano soggetti consapevoli della comune predilezione per alcune metafore, rese arbitrariamente vincolanti da quella immane "forza di superficie" costituita dalla nostra ragione.
Anche se Nietzsche non si è mai preoccupato di operare una netta distinzione tra le facoltà conoscitive, si può notare come sia in particolare l'intelletto a svolgere questa attività di superficie, che consiste essenzialmente nella percezione del mondo esterno e nell'assegnazione di un nome agli oggetti individuati: la produttività dell'intelletto interpretante - secondo l'espressione della "Gaia scienza" - è indicata da Nietzsche nella facoltà di "vivere per immagini", di orientare l'attitudine percettiva dell'occhio nel selezionare le rappresentazioni. Una volta decretata l'inattingibilità della cosa in sé e concepita la verità come predilezione metaforica e designazione linguistica intersoggettiva, la circostanza che l'intelletto si arresti alle forme di conoscenza dell'apparenza non deve più essere considerata un limite gnoseologico n‚ postulare l'esigenza di una facoltà teoretica superiore, bensì viene riconosciuta come presupposto dell'attività di conferimento di senso, di selezione prospettica e di appropriazione antropomorfica dei dettami del mondo fenomenico.
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