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Per la poesia del Novecento l'allestimento dei "Meridiani" costituisce anzitutto un canone "reale", effettivo. Ma è anche l'occasione di un bilancio e, insieme, di un'impostazione del lavoro fondamentale per la critica a venire. La prima cosa da dire è che l'immagine sortita dall'eccezionale lavoro del curatore, Rodolfo Zucco, si deve in gran parte alla volontà del diretto interessato. Con la complicazione che Raboni ha fatto in tempo a impostare il lavoro ma non è stato presente, per il più triste dei motivi, al momento della sua conclusione. È una porta stretta per la quale sono dovuto passare anch'io (per La poesia che si fa, la raccolta dei suoi saggi critici sulla poesia italiana del Novecento uscita da Garzanti); e a maggior ragione, dunque, posso testimoniare della qualità del lavoro di Zucco.
Il titolo suggerisce l'idea di trovarsi di fronte a degli Opera omnia. Il che però non è. All'"opera in versi" si affianca una sezione di traduzioni poetiche (Ventagli e altre imitazioni, con il supplemento dell'Antigone di Sofocle) e una di prose critiche (Poesia degli anni sessanta, del '76, e Devozioni perverse, del '94) e "creative" (La fossa di Cherubino, dell'80). Proprio questo l'unico appunto da fare: se è assai opportuno riproporre un libro fondamentale per capire l'autore quale è Poesia degli anni sessanta (che nella Poesia che si fa, con il suo consenso, ho dovuto invece smembrare per far posto alla produzione critica successiva), assai meglio sarebbe stato inserire questo libro in un'organica raccolta delle sue scritture saggistiche: da demandare, per qualità e quantità, a un secondo "Meridiano".
Assai opportuna è in ogni caso la scelta di alternare le raccolte poetiche a quelle in prosa. In molti libri Raboni ha infatti utilizzato inserti in prosa come calibratissima "messa a terra" e variazione ritmico-melodica, per così dire, del proprio linguaggio lirico: con ciò dando seguito a una delle sue più importanti dichiarazioni di poetica, quella di una "poesia impura e, al limite, impoetica, infinitamente inclusiva, capace di compromettersi con la realtà e di registrare le tensioni del campo ideologico senza mimare la realtà e senza sottomettersi all'ideologia".
Il fenomeno acquista rilievo macroscopico in un libro-chiave come Cadenza d'inganno, del '75; e non è forse un caso che proprio questo sia il libro nel quale Raboni più si "compromette con la realtà e registra le tensioni del campo ideologico". Andrea Zanzotto inizia così la sua prefazione: "Raboni è uno dei pochissimi poeti degni di questo nome che si possono dire naturaliter poeti civili", poiché sin dagli esordi "tutto ricade nel campo di un'etica della responsabilità e del civismo (
), anche se di fatto egli si dichiarò apertamente poeta civile solo negli ultimi anni (
), a ridosso dell'esaurimento poltiglioso e putrescente di questo tempo". Proprio questa distinzione tra un'acuta coscienza civile e un più esplicito schieramento "politico" (culminato, com'è noto, con gli Ultimi versi dedicati al "Cavalier Menzogna", l'anno scorso poltigliosamente rifiutati postumi da Einaudi e prontamente pubblicati, invece, da Garzanti) è stata al centro di un'acuta recensione a caldo al volume, offerta da Roberto Galaverni su "Alias": un poeta legato alla realtà, come da etimo "lombardo"; ma la cui "presa (
) spesso è un mancamento, di realtà". La forza di Raboni sarebbe nel "doppio gioco" fra la volontà di schieramento e un retroterra più contorto, chiaroscurato, "un territorio ben più ambiguo ed equivoco (
); dove non si trova niente di orientato in modo netto ed univoco, e dove di conseguenza nulla è soltanto quello che vuole, o quello che può, apparire". Eppure la sua unicità consiste nel fatto che quest'ambiguità di foggia secentesca, da grande intellettuale gesuita, non gli impediva affatto gli slanci etici e politici di stampo "illuminista" che conosciamo.
L'impianto del "Meridiano" riflette con straordinaria esattezza quest'ambivalenza. Spartiacque decisivo è l'autoantologia A tanto caro sangue, riscrittura delle raccolte precedenti uscita nel 1988. Ora si sceglie invece di riprodurre i testi così come erano usciti nelle raccolte originarie, facendo loro seguire A tanto caro sangue, considerato alla stregua di un libro nuovo. Ne risaltano gli spostamenti, i mutamenti, le ristrutturazioni profonde che in molti casi equivalgono a vere e proprie riscritture. Le questioni che si aprono sono innumerevoli, e il maggior complimento che si possa fare a Zucco è che, nelle più di quattrocento fittissime pagine di commento, egli non se ne lasci sfuggire neppure una: a tutte tentando di dare risposta e riuscendoci, quasi sempre, nel migliore dei modi.
Dell'"ambivalenza" dell'engagement, A tanto caro sangue è esempio perfetto. Raboni dichiarava allora che non gli interessava più "l'uso che avevo voluto fare, a suo tempo, dei (miei) testi", ricondotti così alla "loro esistenza oggettiva, corporea, fisicamente e insopprimibilmente 'attuale'". La freccia della ristrutturazione era infatti nel segno di un'elisione, o attenuazione, dei segni del tempo: cancellando tutta una serie di paratesti, marche "d'uso" e contrassegno storico d'esistenza dei testi. Quella ora giunta a conclusione (con il passaggio intermedio dell'"Elefante" garzantiano di Tutte le poesie, uscito nel '97) è una "ristrutturazione" ulteriore, di segno inverso.
Eloquente, in tal senso, la storia di componimenti-chiave di Cadenza d'inganno come L'alibi del morto, sull'omicidio Pinelli. In un'altra suite del libro del '75, Dopo, scritta appunto "dopo" l'assassinio Calabresi, si leggerà: "Disegnato col gesso come era / sul marciapiede il mondo si cancella. / Mi vedo perdere colpi, avere pietà / del commissario giustiziato, del carabiniere in salita". Nell'"Elefante" del '97 il titolo è sostituito da un altrettanto eloquente Il gioco del mondo: che rinvia al gioco d'infanzia nel quale si salta su un disegno tracciato con il gesso sul marciapiede. Si allude così al "salto" mortale di Pinelli (il cui cadavere lascia un segno sull'asfalto, come da prammatica tracciato con il gesso), collegandolo al "commissario giustiziato" in quanto considerato responsabile della sua morte. La pietà che insorge è per la vittima di una ritorsione inaccettabile; ma anche per l'indecidibilità di un mondo enigmatico, che "si cancella": nei confronti del quale sempre più difficile diventa assumere una posizione netta. Del titolo Cadenza d'inganno andrà allora sottolineato, oltre che il senso musicale (la frase che sino all'ultimo pare contrassegnare il finale di un brano secondo un certo carattere per lasciarlo invece, alla fine, sospeso), quello che allude alla "caduta" di un impegno a tutto tondo nel reale (che si consuma proprio dopo la "caduta" tragica di Pinelli, con le sue altrettanto tragiche conseguenze).
Ma questo ripensamento non può non lasciare nell'intellettuale engagé un senso d'inadeguatezza. È l'impallidire amletico della native hue of resolution che, da ora in poi, sarà sigla psicologica della poesia di Raboni. In un altro episodio straordinario di Cadenza d'inganno, Economia della paura del '70, si vedono inscindibilmente intrecciati i versanti pubblico e privato (da una parte l'adulterio, dall'altra la paranoia del tempo si rammenti un capolavoro cinematografico del '74, The Conversation di Francis Ford Coppola). Questa "partita doppia" o nastro di Möbius continuerà sino all'ultima raccolta di Raboni, Barlumi di storia del 2002, passando per i libri straordinari (e sempre più apertamente "civili", di nuovo) della "ricostruzione" metrica: Versi guerrieri e amorosi ('90), Ogni terzo pensiero ('93) e Quare tristis ('98).
È proprio così che quest'uomo, che chi ha avuto il privilegio di conoscere ricorda come abitato da mille riserve e mille ritrosie, trovava la forza per prese di posizione inequivoche ed esemplari come, fra le ultimissime, scrivere nell'estate del 2003 alla notizia dei figli di Saddam Hussein "giustiziati" in Iraq la poesia con la quale il "Meridiano" si conclude. E che torna, oggi, sinistramente d'attualità.
Andrea Cortellessa
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