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Anno edizione: 2012
Anno edizione: 2012
L’amore per la montagna non accetta compromessi si sa. Tutti coloro che, almeno una volta, hanno provato l’emozione di raggiungere la vetta ne sono consapevoli.
Tuttavia, nell’immaginario collettivo l’alpinismo è stato a lungo – talvolta è ancora - considerato come uno sport prettamente maschile, spesso assimilato all’arte di condurre una guerra, come dimostra anche la terminologia utilizzata per descrivere le scalate: “conquistare”, “attaccare”, o ancora, “vittoria”, “sconfitta”. Alle donne il compito di aspettare a casa, con ansia e preoccupazione, il ritorno dei propri compagni. Negli ultimi anni però la situazione è molto cambiata: l’alpinismo non è più considerato come un gioco avventuroso, ma è diventato un vero e proprio sport e ha ampliato i suoi confini anche alle donne. È di questo cambiamento che Reinhold Messner (il primo ad aver raggiunto l’Everest senza ossigeno e ad aver scalato i quattordici ottomila) dà conto in questo libro. On top racconta di come, stanche di restare a valle, alcune donne abbiano deciso di mettersi alla prova e sfatare il mito che le vedeva incapaci di eguagliare gli uomini nelle scalate in montagna. A stupire non è tanto il gesto quanto la naturalezza e la tenacia impiegate per riuscire nell’intento, anche se poi il riconoscimento del loro valore è avvenuto molto più tardi e ha finito per coincidere con l’emancipazione femminile.
Così da Hettie Dyhrenfurth, che nel 1934 arrivò sulla vetta del Sia Kangri in Karakorum, a Claude Kogan che raggiunse i 7.600 metri sulle Ande peruviane, e a Wanda Rutkiewicz, prima donna a scalare l’Everest, fino agli ambiziosi progetti dei giorni nostri, le donne si sono pian piano ritagliate un loro spazio in questo sport. Negli ultimi venticinque anni, in particolare, alcune di loro hanno deciso di dare vita al cosiddetto "Progetto 14", con l’intento di scalare le quattordici vette che superano gli ottomila metri. Nell’impresa si sono distinte Gerlinde Kaltenbrunner, Nives Meroi, Edurne Pasaban, ma è stata la sudcoreana Oh Eun-Sun, nel 2010, a raggiungere l’obiettivo per prima. Come spesso accade in questi casi però, il progetto è diventato una sfida e ben presto la sfida si è trasformata in una guerra, chiamando in causa, oltre allo sport, anche il femminismo, il desiderio di potere, il prestigio e le diffamazioni massmediatiche. Col risultato che si è finito per perdere di vista il vero punto d’arrivo.
Perché? V’è qualcosa che conta più della vetta per un alpinista? Secondo Messner sì: la sorpresa e il mistero di fronte all’enigmaticità della natura che non smette mai di sovrastarci, e ancora, la coscienza dei limiti umani e il miracolo della sopravvivenza. Sono queste le scommesse più grandi, poiché il vero obiettivo di un alpinista – non bisognerebbe mai dimenticarlo - ancor più della salita è la discesa: riuscire a tornare a valle dopo aver superato indenni la "zona di confine della morte" spesso "si rivela una conquista straordinariamente impegnativa" e tutt’altro che scontata. Non sono dunque le cifre a dire la grandezza di un alpinista, poiché - come ricorda Messner - in montagna "possibilità e realtà alla fine devono coincidere", bensì l’umiltà nel riconoscere i propri limiti, qualità che ogni sportivo - uomo o donna che sia - dovrebbe avere.
Un libro, che è insieme una guida, un resoconto e in parte anche un diario di viaggio, in cui Messner ricostruisce la storia dettagliata dell’alpinismo femminile, arricchita e documentata da un prezioso corredo di immagini.
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