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Anno edizione: 2010
Anno edizione: 2012
"L'essenza propria del visibile è di avere un doppio di invisibile". La massima, di Maurice Merleau-Ponty, potrebbe risultare in esergo a Ombre e figure, nuova raccolta di saggi di Ezio Raimondi. Gli otto studi che compongono il libro, redatti nell'arco di vent'anni (1985-2006), sono dedicati a Roberto Longhi e alla sua scuola, ad eccezione del primo, su Filippo De Pisis laureando in storia dell'arte (ma con una tesi assai prossima, per tema, a Officina ferrarese). Raimondi non è il primo "filologo in libera uscita" (suoi la formula e l'understatement) a occuparsi di Longhi scrittore: basti ricordare il vivo interesse di Gianfranco Contini e, più recentemente, di Pier Vincenzo Mengaldo. In rispettoso disaccordo, il critico bolognese denuncia l'unilateralità delle letture sin qui proposte: "Seguire la capacità polimorfa della scrittura di Longhi unicamente con l'occhio misurato della stilistica, senza tener conto della trama intellettuale che affiora a lampi dal suo discorso, significa, alla fine, fare un torto anche allo scrittore". Raimondi preferisce ricostruire la stagione vociana di Longhi e le formative letture degli storici dell'arte di lingua tedesca (da Heinrich Wölfflin e Alois Riegl all'obliato Hans Tietze), illuminando la genesi di una scrittura in cui il "metodo" è sempre anche "fatto di stile" e, simmetricamente, l'ekphrasis è condensazione del discorso critico. La messa in luce della "trama intellettuale" della scrittura di Longhi consente a Raimondi di soffermarsi anche sul rapporto con l'iconologia, non ignorata né disconosciuta nel suo contributo erudito, e purtuttavia giudicata incapace di cogliere "il principio che in un'opera d'arte più del 'che cosa' conta sempre il 'come'". Basti citare, come esempio e a conferma dell'interpretazione proposta nel libro, il rovesciamento di una formula di Panofsky nel finale del grande saggio su Caravaggio del 1951, nel quale il pittore è definito "umano più che umanistico": poco più di dieci anni prima (1939), l'Introduzione agli Studi di iconologia si chiudeva sulla "reintegrazione dei temi classici con i motivi classici" compiuta nel Rinascimento come avvenimento "non solo umanistico, ma anche umano". Poiché è questo forse il merito maggiore della lettura di Raimondi, capace di cogliere la serietà dell'operazione sotto l'innegabile teatralità dei suoi modi "nell'indagine formale è sempre in gioco in Longhi un'idea dell'uomo". Idea che si arricchisce di risonanze e venature individuali, talora sino alla metamorfosi, presso i rappresentanti della sua scuola: Alberto Graziani, Cesare Gnudi e soprattutto Francesco Arcangeli. Proprio nei capitoli dedicati a quest'ultimo il libro raggiunge le temperature più elevate, per finezza critica e partecipazione affettiva. Ma per Raimondi la ricca e complessa storia della scuola di Longhi rappresenta soprattutto uno specchio, nel quale contemplare retrospettivamente la propria vicenda filologica di "lettore di ombre" consapevole della necessità di integrare l'esperienza dei testi con quella delle "figure": lo testimoniano, oltre a quest'ultimo fondamentale contributo, Il colore eloquente (il Mulino, 1995), raccolta di saggi su letteratura e arte barocca, e la preziosa edizione degli Scritti sull'arte di Charles Baudelaire (Einaudi, 2004). Opere in cui si stagliano nitidi i tratti, figurati e ombreggiati, della ricerca lunga una vita (è formula che Raimondi adotta per Gnudi, ma che pare adattarsi altrettanto bene al suo percorso) di "una storia della cultura poligenetica come costruzione comune di un senso". Marco Maggi
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