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recensione di Gozzellino, T., L'Indice 1996, n. 3
Dopo avere sperimentato in prima persona il "voluttuoso godimento dell'acqua", Charles Sprawson ripercorre, attraverso i secoli e le culture, la storia del fascino che questo universale, "fatale" elemento ha esercitato sulle menti e sugli animi degli uomini di tutti i tempi. Con sensibilità acutissima e ossessiva curiosità, egli raccoglie le testimonianze che le varie civiltà hanno lasciato del loro complesso e profondo rapporto con l'acqua, e ne ricava il senso di un'esperienza mistica ed eroica, attraverso la quale il nuotatore riconosce e afferma se stesso in quanto essere idealista e solitario, proteso verso l'esplorazione di territori ignoti, più vitali e stimolanti. Non può sfuggire l'alone romantico di cui si circonda, nel libro di Sprawson, la figura del nuotatore, che finisce col coincidere con l'archetipo stesso dell'artista secondo la cultura ottocentesca, di cui sembra incarnare perfettamente la protesta verso l'amara esperienza del vivere. Con la generazione romantica risorge infatti quella passione per l'acqua già fiorita ai tempi della classicità e alla quale soggiacciono ora tutti coloro che, nella vita come nell'arte, vanno alla ricerca di ideali svaniti e paradisi perduti. Byron, Shelley, Goethe, Novalis, Puskin, Poe, Whitman - e i loro eredi spirituali, Swinburne, Mann, Lawrence, London, Fitzgerald - non sono che alcuni degli innumerevoli autori attraverso le cui opere inondate di scene acquatiche Sprawson ha inseguito il senso di una pienezza dell'essere, che solo sembra rivelarsi nel passaggio dal mondo reale dominato dalle futili convenzioni mondane a quello ideale-prenatale riscoperto nelle oscure profondità degli abissi marini. In quel mondo subacqueo gli scrittori si sono immersi non solo metaforicamente se, come apprendiamo, alle imprese letterarie essi hanno affiancato molte imprese natatorie (come non ricordare, ad esempio, quelle di Byron che percorse a nuoto tutto il Canal Grande e attraversò l'Ellesponto in un'ora e dieci minuti?) che hanno contribuito a costruire la loro immagine leggendaria. Per quegli artisti, come per lo stesso Sprawson, il nuoto è divenuto una necessità spirituale ed emotiva, una forma suprema di iniziazione, un rito con il quale essi si sono misurati sfidando ripetutamente la sorte, arrendendosi infine - come Shelley, come Byron - al richiamo irresistibile dei flutti.
Un richiamo in grado di accomunare uomini di civiltà così diverse e lontane - gli antichi greci e romani, che per primi celebrarono il senso profondo della bellezza e della divinità dell'acqua; gli entusiasti frequentatori delle città termali sorte in Inghilterra verso la metà dell'Ottocento, quando "le acque della classicità tornarono al mondo dopo un lungo riposo sotterraneo"; gli studenti di Eton, che diedero vita, nel 1828, alla prima società di nuoto inglese, ispirata all'esempio classico; le solitarie viaggiatrici dell'Ottocento (Mary Kingsley, Constance Gordon Cumming, Marianne North e tante altre), per le quali i bagni nei mari tropicali furono il segno di un progressivo affrancamento dall'oppressione della maschilista società vittoriana e del risveglio di una sensualità che sempre era stata loro negata; i tuffatori tedeschi e americani, che furono assunti, all'inizio del Novecento, come simboli nazionali di forza, virilità, perfezione fisica e spirituale, e le cui eleganti evoluzioni divennero il soggetto di molta produzione cinematografica dell'epoca; i disciplinati nuotatori giapponesi, infine, che, ispirandosi all'antico codice dei samurai, riuscirono a mantenere una straordinaria supremazia per tutti gli anni trenta. Con tutti loro - "questi eroi" - Sprawson sente di condividere il "sogno prolungato" in cui li sprofonda il sensuale, quasi erotico contatto con l'acqua, alla cui selvaggia e seducente bellezza egli rende qui supremo omaggio. E nel fare ciò, Sprawson sceglie di non varcare la soglia dell'epoca in cui le moderne tecniche di allenamento e di gara avrebbero tolto alla disciplina del nuoto molta della sua aura romantica per non lasciarle che quella di un eroismo teratologico.
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