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"L’olmo caduto", antologia pubblicata dalle edizioni Medusa, raccoglie una sessantina di poesie di John Clare tratte da sette diverse raccolte, uscite tra il 1820 e il 1864. Se oggi certa critica tende ad accreditare Clare come poeta ecologista, il suo interesse per la natura non esprimeva in realtà alcuna polemica nei confronti della nascente urbanizzazione e industrializzazione; era piuttosto sincero amore per la terra e per l’innocenza dei suoi abitanti non-umani: tutti i tipi di uccelli, le talpe, i ricci, i conigli, le piante e i fiori che rendono il paesaggio più gentile. “Benvenuta pallida primula! Spunti tra / il morto fogliame di frassini e querce /… quanto la tua presenza fa più bella la terra”, “Nel basso di siepi e mura al riparo dal vento / i moscerini si radunano in sciami per giocare”, “Amo vedere le vizze felci della brughiera antica / Mischiare le crespe foglie a ginestrone ed erica / Mentre dal lago deserto il vecchio airone / Parte lento battendo l’ala malinconica”. Piante e animali, fenomeni atmosferici e stagni patiscono, nei versi di Clare, gli stessi sentimenti degli uomini: paura e gioia, ansia di libertà e ferocia, imperturbabilità e irruenza. Ogni cosa risponde al richiamo eterno e insopprimibile della sopravvivenza, della riproduzione fisica, del desiderio appagante, e il poeta ribellandosi alla violenza di chi turba la semplice autenticità dell’esistere, soffre per l’abbattimento di un olmo, per la macellazione di un bue, per lo squartamento di un tasso. I bambini che escono da scuola correndo, i braccianti nei campi, le belle ragazze da spiare di nascosto, il trapassare delle stagioni; ma anche la solitudine, il silenzio, la morte stessa: ogni cosa per lui è degna di venire raccontata con meraviglia e gratitudine. John Clare ha suscitato l’ammirazione di poeti come Dylan Thomas, John Ashbery, Seamus Heaney, che l’hanno ritenuto degno di venire menzionato tra i grandi della letteratura inglese.
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