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Sulla copertina di questo libro-intervista a Malcolm McDowell campeggia, inquietante, l’immagine di Alex de Large, il Drugo. Non poteva essere altrimenti, visto che il personaggio di Arancia Meccanica, con la sua carica devastante e malata, è quello che più è rimasto impresso nella memoria collettiva, tra i tanti interpretati dall’attore inglese. Al punto da creare intorno alla figura di McDowell un’aura da “maledetto”, naturalmente incline al ruolo di cattivo. Eppure quest’idea non riflette a pieno la realtà umana dell’attore, come si evince dalla lunga intervista e come ribadisce nella sua appassionata introduzione David Grieco, il critico-regista che ha diretto McDowell in Evilenko (2004), nei panni di un altro personaggio abnorme e mostruoso. “Malcolm McDowell è radicalmente diverso da tutte le altre star del cinema che sono diventate icone….La sua ironia lo ha tenuto sempre con i piedi per terra e incollato alla vita. Malcolm detesta prendersi troppo sul serio e detesta chi si prende troppo sul serio. Ho visto registi famosi sgonfiarsi come palloncini e produttori potenti rimanere inebetiti…Un’icona in genere non si comporta così. Un’icona può prendere a cazzotti un regista o un produttore. Ma si guarderebbe bene dal prenderli per i fondelli”. E ironia, irriverenza, spirito e acume sono proprio i tratti distintivi che emergono dalle conversazioni tra l’attore e Spagnoli, registrate tra il giugno 2005 e il marzo 2006.Spagnoli non ha l’atteggiamento del critico. Le sue domande semplici e dirette lasciano trapelare l’ottica curiosa dell’appassionato e del giornalista, ma, nella loro immediatezza, riescono a mettere McDowell in una situazione di agio tale da consentirgli aperture sincere. Strutturata come un viaggio nel tempo e nello spazio (con i vari capitoli Sud, Nord, Ovest, Est) e accompagnata da una postfazione e una filmografia completa, l’intervista ripercorre l’intera carriera dell’attore, a partire dai primi ricordi d’infanzia e giovinezza.
Raramente capita di leggere un libro-intervista tutto d'un fiato così come mi è capitato con Oh, lucky Malcolm! E' strepitoso.
Raramente i personaggi dello spettacolo, se intervistati sulla propria vita e carriera, si lasciano andare senza alcuna reticenza, a meno che non siano dei grandi. Sergio Leone, per esempio, era uno di questi. Ora possiamo annoverare anche Malcolm McDowell, caso più unico che raro di attore che non è mai divenuto una star, ma direttamente un’icona. Anzi, più d’una. Perché se è per tutti, e sempre sarà, il famigerato Alex di Arancia Meccanica, Malcolm è anche l’icona del free cinema (If..., O lucky man) ed è l’icona del cattivo (è lui il laido imperatore “Caligola”, è lui che uccide il capitano Kirk di Star Trek, è lui il “Gangster n.1” che omaggia il suo idolo James Cagney, è lui il mostruoso “Evilenko” che mangia i bambini). Ora, grazie al libro curato da Marco Spagnoli ed edito da Aliberti, che si intitola semplicemente col suo nome (sottotitolo: O lucky Malcolm!), svela tutto di sé rivelandosi una persona sensibile e spiritosa. Un umorismo che gli viene tutto dalla natia Liverpool, una città particolarissima, che non per niente ha visto nascere anche i Beatles (di cui il fortunato Malcolm ha assistito i primi passi). Ed è da Liverpool e dalla nascita della sua passione per la recitazione che parte la lunga intervista-confessione che generosamente concede al fortunato giornalista. Seguiamo poi la sua crescita di uomo e artista (“artigiano” direbbe lui: “i veri artisti sono i registi e gli sceneggiatori”) attraverso i vari momenti topici della sua esistenza: Ci sono poi i ritratti affettuosi dei suoi colleghi, che quasi venera (John Gielgud, Hellen Mirren, David Warner, Laurence Olivier, Peter O’Toole), gli incontri con le varie celebrità, gli aneddoti curiosi o divertenti, l’amore sconfinato per la famiglia (nuova moglie, sorella defunta, figli e nipote) e gli amici (Robert Altman e David Grieco su tutti, oltre naturalmente Anderson), le considerazioni sull’arte e la vita, il bilancio di una carriera che magari lo ha visto anche protagonista di “schifezze” ma che è sempre aperta al nuovo.
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