Che cosa accomuna due scrittori apparentemente così distanti e diversi, nel tempo e nello stile, come Ernest Hemingway e David Foster Wallace, a parte l'Illinois e la stessa tragica fine? Questo, forse. "Quella dello scrittore è, nella migliore delle ipotesi, una vita solitaria. (
) Man mano che si distacca da questa solitudine, egli acquista peso come personaggio pubblico, ma spesso a scapito della sua opera. Perché è un lavoro che deve fare da solo, e se è scrittore abbastanza buono, deve affrontare ogni giorno l'eternità o l'assenza di eternità. Per un vero scrittore, ogni libro dovrebbe essere un nuovo inizio nel quale cercare qualcosa che è impossibile raggiungere. Egli dovrebbe sempre cercare cose che non sono mai state fatte o che altri hanno tentato di fare invano. In questo caso può talvolta accadergli, con molto fortuna, di riuscire. Come sarebbe semplice fare della letteratura, se bastasse scrivere in un altro modo ciò che è già stato scritto bene". Si tratta del discorso che Ernest Hemingway pronunciò all'Accademia svedese, in occasione del conferimento del Premio Nobel nel 1954. La solitudine è una delle chiavi di lettura di Ogni storia d'amore è una storia di fantasmi. Vita di David Foster Wallace, la bella biografia appena pubblicata da Einaudi nell'ottima traduzione di Alessandro Mari. Ma non è l'unica chiave interpretativa, perché c'è almeno un'altra questione nodale: il rapporto tra lo scrittore e la sua proiezione pubblica, l'ombra che getta il "personaggio," spesso a scapito dell'opera che finisce per offuscare. Una biografia, questa di D. T. Max, molto documentata, ma soprattutto esaustiva e onesta. L'autore, che scrive per testate come il "New York Observer" e "The New Yorker," non è disposto a tralasciare nulla. Questo l'incipit: "Ogni storia ha un inizio, e questa comincia così: David Foster Wallace nasce il 21 febbraio 1962 a Ithaca, nello Stato di New York". L'epilogo, descritto con altrettanta precisione, quasi cinquecento pagine più tardi, fissa invece il momento in cui, alle 21.30 del 12 settembre 2008, la moglie di Foster Wallace, rincasando dal lavoro, lo trova impiccato nel patio della loro casa di Claremont, in California. Fra questi due estremi, troviamo il ragazzino che ascolta il padre leggergli ogni sera Moby Dick, ma divora le avventure degli Hardy Boys. L'adolescente tennista di talento (ma non troppo). Lo studente di successo che colleziona voti alti al college di Amherst. L'uomo (anche se lui si è poi sempre considerato un "ragazzo del Midwest") e lo scrittore con tutte le sue fragilità, le sue idiosincrasie, le sue dipendenze, il suo rigore, soprattutto nei confronti della parola scritta, la sua mania di controllo. C'è la sua famiglia. Sally, la madre, con cui ha sempre avuto un legame fortissimo, tra alti e bassi. Il padre Jim, professore di filosofia. L'amata sorella Amy, di due anni più piccola. Ci sono i pochi, ma preziosi amici. Mark Costello, compagno di stanza a Amherst (con lui ha scritto Il rap spiegato ai bianchi, quasi un divertissement giovanile) che gli è stato vicino tutta la vita. Jonathan Franzen, con cui era in fraterna competizione ma con il quale ebbe, forse, il legame più stretto negli ultimi anni. (Franzen, nel suo ultimo libro, Più lontano ancora, dedica all'amicizia con Foster Wallace delle pagine bellissime). Don DeLillo, il maestro riconosciuto, con il quale intrattenne negli anni una straordinaria corrispondenza. Bonnie Nadell, la sua agente, che lo ha sempre seguito da quando, entrambi ventenni, si erano conosciuti. Michael Pietsch, amico ed editor alla Little, Brown fin dai tempi di Infinite Jest. E poi ci sono le donne. Mary Karr, scrittrice anche lei (la Rizzoli ha pubblicato, nel 2008, il Club dei bugiardi, suo straordinario memoir), la prima donna veramente importante nella vita di Wallace. E soprattutto Karen Green, che lo scrittore sposò nel dicembre del 2004 e di cui è uscito, proprio in questi giorni negli Stati Uniti, Bough down, una meditazione sulla perdita e sull'assenza. Ogni storia d'amore esula dalla pubblicistica compassionevole e di circostanza che spesso genera la vicenda di un autore di culto morto suicida. Perché, alla fine, il compito che dovrebbe darsi la biografia di uno scrittore è molto semplice: spingerci a prendere (o riprendere) in mano i suoi libri. Oblio, per esempio, del 2004. E nello specifico il racconto Caro vecchio neon, uno dei più belli e significativi dell'intera produzione wallaciana, che comincia così: "Per tutta la vita sono stato un impostore. E non esagero. Ho praticamente passato tutto il mio tempo a creare un'immagine di me da offrire agli altri. Più che altro per piacere o per essere ammirato. Forse è un po' più complicato di così. Ma se andiamo a stringere il succo è quello: piacere, essere amati". Ogni storia d'amore è insomma un testo fondamentale per farci conoscere l'uomo e lo scrittore David Foster Wallace. Perché Foster Wallace scrittore lo è stato veramente, e come tutti gli scrittori veri ha segnato un'epoca (è questa, forse, l'altra cosa fondamentale che lo accomuna a Hemingway). D.T. Max riesce nell'impresa non facile di farci capire lo scrittore attraverso il racconto di ciò che è stato l'uomo. Martino Gozzi
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