Lebo, il cui nome in slovacco significa "oppure", è nato a Terezín ed è era nascosto sotto un pancaccio. La mamma lo aveva partorito nei giorni prossimi all'arrivo dell'Armata rossa e la sua levatrice di fortuna aveva sussurrato: "O se ne sta zitto e buono oppure lo soffochiamo". Lebo era stato zitto e, come altri, a Terezín era sopravvissuto, recando i segni di un malessere irrisolto e irrisolvibile. In seguito, diventato lo "zio" di tutti i bambini della cittadina fortificata, ne aveva guidato i giochi negli anfratti dell'ex lager, rendendo loro lieve il contatto con l'indicibile e ricevendo in cambio oggetti, ricordi, resti dei tempi della guerra. La voce narrante è il seguace più fedele di Lebo, forse suo fratello, forse no, che passa dal pascolo delle sue capre al penitenziario di Pankrác a Praga, per l'accidentale omicidio del padre, e qui diventa l'assistente del boia. Dopo aver ascoltato le storie di tanti innocenti uccisi barbaramente, cosa volete che fosse accompagnare al patibolo assassini e stupratori? Tornato nella Terezín irriconoscibile del post 1989, il giovane fiuta con Lebo l'approssimarsi dei tempi nuovi e l'estinguersi della memoria del luogo, ma coglie anche l'impareggiabile aiuto che possono fornire i "cercatori di pancacci". I figli, i nipoti delle vittime della Shoah sono assetati di particolari, cercano i pancacci dove dormirono notti d'inferno i loro parenti, sono animati da intenzioni ottime, ma sono anche capaci di mettere in piedi un'attività turistica molto redditizia. In poco tempo creano una comune improvvisata, con poca attenzione alle esigenze del fisco e, dopo numerosi solleciti inascoltati, vengono dispersi con un attacco violento delle forze dell'ordine. Il protagonista si trova catapultato in Bielorussia, dove la sua fama lo ha preceduto e i suoi contatti sono indispensabili per creare anche lì un monumento alla memoria dei quattro milioni di vittime dei due contrapposti totalitarismi. La collaborazione fra i giovani avviene in un clima di contrasto e di crescenti accuse che si caratterizzano come scontro fra Occidente e Oriente, un Occidente che sperpera e annacqua le memorie, arricchendo le agenzie di viaggi, e un non meglio definito Est che occulta il passato per costruirsi una fallace verginità politica nel presente. Al dolore per il sangue versato e per la memoria offesa, si affacciano anche biechi desideri di successo economico e di attrazione turistica. Il progetto dei bielorussi assomiglia più al padiglione degli orrori di un luna park ben equipaggiato che a un museo in grado di suscitare indignazione ed empatia, nonché di fornire elementi di conoscenza e informazione. Al memoriale di Chatyn', da non confondersi con la Katyń dell'eccidio degli ufficiali polacchi, dove furono messi a ferro e fuoco interi villaggi durante la seconda guerra mondiale, i sedicenti novelli partigiani giocano pericolosamente con la sovrapposizione fra rappresentazione del dolore e morboso voyeurismo. L'autore, Jáchym Topol, già paragonato al maestro della letteratura ceca Hrabal, tocca con sarcasmo e delicatezza temi scottanti della memoria europea, una memoria in larga parte ancora divisa, che spinge a Est ciò che non comprende o non vuole riconoscere e si riserva la patente di "occidentalità", cioè di adeguatezza, in un movimento progressivo che si dissolve con il dissolversi dei confini della stessa Europa. Donatella Sasso
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