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Sedere sui cocci di una civiltà infranta e osservarne i tanti naufragi non è più un'impresa difficile. Il primo scatto davanti a tanta barbarie, a una miseria politica da lazzaretto interiore, a una tecnica sempre più sofisticata che quasi azzera i fiati e gli affetti...il primo scatto dunque dovrebbe portare a rigurgiti di odio (e quanti ce ne sono, basta perdersi in un notiziario). C'è un divenire dei sentimenti, è inevitabile; essi risentono del tempo in cui si muovono, non può darsi un'immutabilità quasi mistica nel seno di un pianeta così convulso e in una ridda di fatti che si succedono con frettolosità divorante. Anders interroga il nostro dentro provando a sovvertire il cogito cartesiano: "Odio dunque sono; dunque io sono io; dunque io sono qualcuno". Qualcosa come una tessera di riconoscimento indispensabile che rifletta nel sentire la scura, rozza e tragica permanenza del fuori. E' giusto? E' possibile? O è invece quanto di più scontato possa darsi sotto il cielo del pensiero? Aizzare all'odio è da sempre la spinta prima che i potenti desiderano instillare, l'acido che divora il controllo dentro la psiche fragile delle folle. "Creare panico nell'idea di realizzare un globocidio" dove i forti sopravvivono a prezzo di milioni di vite oscure e anonime che possono anche soccombere. Questo è il progetto. Ora la domanda giunge da sola: senza una lucida paura commisurata a tutto questo cosa ne sortirebbe? Senza una presa di coscienza che ostruisca questo tragitto dove arriveremmo? Il soldato cosa prova nel combattere? E' lo stesso spirito quello che agitava i pensieri di un oplita a Salamina o quelli di chi sganciava bombe dall'Enola gay? O non c'è forse nei primi più sangue naturale, con le loro lance appuntite e nei secondi una specie di indifferente obbedienza a un pulsante da premere? E chi subì quegli assalti, chi perse? E' giusto che debba odiare? A Hiroshima debbono odiare? Se niente ha un senso allora odiare è il colmo dell'insensatezza. Anders assoluto!
L'odio è antiquato, non ha più alcun senso e utilità nel mondo contemporaneo dominato dalla tecnocrazia e "dalle leggi asettiche e fredde della coppia produzione-consumo". E' antiquato come l'amore e ogni sentimento semplicemente umano, divenuto superfluo per la sua non sfruttabilità. In questo acuto, intransigente e disperato libro, commentato intelligentemente da Sergio Fabian, Guenther Anders (1902-1992), filosofo ebreo radicale e pensatore fuori dagli schemi, analizza questa antica disposizione dell'anima a partire dalla sua definizione: "L'odio è ... l'autoaffermazione e l'autocostituzione attraverso la negazione e l'eliminazione dell'altro". Nel momento in cui però l'altro non viene più conosciuto, è insieme troppo prossimo e vicino, e assolutamente distante e indistinguibile, ecco che l'odio perde ogni giustificazione. La guerra non viene più combattuta corpo a corpo, in un faccia a faccia crudele e sanguinario col nemico, bensì manovrando strumenti asettici, schiacciando innocentemente bottoni da una qualsiasi sala operativa, come fa l'operaio alla catena di montaggio, che rimane ignaro e inconsapevole del prodotto finale a cui lavora: così i soldati di oggi possono sterminare milioni di vite senza provare alcun odio, senza conoscere le loro vittime e il motivo reale per cui uccidono. Il nemico diventa succedaneo, interscambiabile, indotto da un potere per motivi per lo più inconfessabili, "con la demonizzazione di un qualche tipo, di un gruppo, preferibilmente di una minoranza inerme": può essere l'ebreo, come il vietnamita o l'iracheno. L'odio si concretizza come ubbidienza a un canone interpretativo della realtà, nei confronti del "diverso esistenziale", ma non ha più un oggetto concreto contro cui indirizzarsi, è smisurato e indifferenziato, astratto e reificato. Il Filosofo nel dibattito con il Presidente l'ha ben compreso: "Perché l'onestà percepisce la bassezza. Ma non il contrario".
Con questo pamphlet Anders sostiene che le emozioni non sono immutabili nell’uomo ma dipendono dalla realtà storica. Così in un mondo dominato dalla tecnica le emozioni hanno perso progressivamente la loro funzione, le macchine create dall’uomo hanno preso il sopravvento, e le macchine non hanno bisogno di emozioni, i sentimenti sono divenuti perdite di tempo. Anche l’odio è divenuto un surplus, i soldati non si affrontano più corpo a corpo, non si vedono nemmeno più, non combattono più, lavorano. Così l’odio è divenuto un sentimento artificiale, un sovrappiù per assicurarsi l’adesione critica e l’accettazione dell’inaudito. L’odio crea il nemico, irriducibile al proprio paradigma e, dunque, da uccidere. Né aggressori né aggrediti possono più odiarsi a vicenda, e allora erano bei tempi quelli in cui si provava odio nel combattersi perché era pur sempre possibile smettere di odiare e magari iniziare ad amarsi. Ma senza l’odio le guerre non possono arrivare ad un compromesso, la pace dovrà essere incondizionata, il nemico annientato.
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