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L'odalisca alla quale allude il titolo italiano di questo breve romanzo è un'opera di Ingres, dipinta a Napoli nel 1814 e poi scomparsa, forse dispersa in seguito alla concitata smobilitazione dell'effimera corte di Gioacchino Murat. Intorno a quest'opera, La Dormeuse de Naples , realmente esistita e realmente svanita nel nulla, Adrien Goetz, storico dell'arte qui alla sua prima prova narrativa, costruisce un racconto a tre voci d'impianto complesso.
In una prima rievocazione, è lo stesso Ingres, ormai alla fine di una vita di trionfi e di onori accademici, a raccontare il suo incontro nel 1814 a Napoli con una giovane del popolo, tutta vestita di nero, disposta a posare per lui, ma non a diventare la sua amante. Dalla bellezza di questa napoletana in lutto, nasce La dormiente di Napoli , la cui forza di suggestione è dovuta anche al desiderio irrealizzato del pittore che trasfigura l'oggetto della propria passione. Perso di vista dal suo stesso autore, che lo cerca disperatamente per decenni e ne inserisce citazioni e ricordi in molte sue opere successive, il quadro svolgerà una funzione imprevista nella vita di un altro pittore, Corot, narratore della seconda parte. È infatti soltanto dopo averlo fuggevolmente contemplato che il grande paesaggista decide di popolare i suoi boschi e le sue vallate, in precedenza deserti in odio alle figure mitologiche di convenzione, di ninfe bianche e rosee, quasi reincarnazioni della splendida odalisca perduta. Ancora più singolare il destino ulteriore del dipinto; ce lo illustra un allievo di Géricault, più dotato per il commercio che per le arti, e divenuto, dopo la morte del maestro, fotografo al servizio dei pittori. L'odalisca perduta, in seguito a romanzesche vicende, è entrata a far parte della collezione segreta di Géricault, per venire poi rubata su commissione di Delacroix: la sua apparentemente algida perfezione, nutrita di tutta la memoria dell'arte del Rinascimento italiano, è l'invisibile punto d'incontro tra neoclassicismo e tradizione romantica.
Non c'è nulla, in questa narrazione asciutta, alla Mérimée, che non nasca dalla rielaborazione fantastica di conoscenze di primissima mano: dettagli biografici, aforismi, battute, descrizioni di quadri, riferimenti al dibattito estetico ottocentesco, squarci aneddotici saporosi e plausibili (valga per tutti l'incontro al Foro romano tra il giovane Corot alla ricerca della propria maniera e un facondo e compassato Chateaubriand). Tutto è finzione, ce lo ricorda, in una strizzata d'occhio metanarrativa, il narratore-fotografo della terza parte; eppure tutto è estremamente credibile, nutrito dall'assidua frequentazione di ogni tipo di fonte, dalle opere d'arte ai diari, agli epistolari, alla memorialistica e al pettegolezzo. Proust notava che gli autori dei panorama solevano mettere in primo piano un oggetto reale, per conferire rilievo e verosimiglianza allo sfondo dipinto e abilmente illuminato. Così procede anche Goetz, e il suo panorama , costellato di opere e figure ben riconoscibili, conserva intatto il fascino di quelli che lasciavano a bocca aperta i flâneurs della "capitale del XIX secolo".
Mariolina Bertini
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